Gli interessi per omesso o tardivo versamento IVA non devono essere conteggiati ai fini del calcolo della soglia di punibilità penale di 250.000 euro
La normativa fiscale prevede diverse soglie di punibilità penale nel caso di omesso versamento delle imposte.
Nel reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, per esempio, ai fini del calcolo della soglia di punibilità di 250.000 euro prevista dall’art. 10-ter del d.lgs. 74 del 2000, si deve tener conto solo dell’Iva effettivamente non versata e non anche degli interessi dovuti per il versamento trimestrale dell’imposta.
Questi sono i principi della recente giurisprudenza in materia, come nel datato ma sempre attuale caso approfondito in questa sede.
Omesso versamento IVA e soglia di punibilità penale: gli interessi non rientrano nel calcolo
La vicenda processuale analizzato in questa sede - e che trae spunto dalla sentenza numero 46953/2018 della III sezione penale della Corte di Cassazione - riguarda un imprenditore che, in un conclamato caso di crisi di liquidità, aveva scelto di non pagare l’IVA annuale per pagare invece stipendi e altri debiti d’impresa per consentire il proseguimento dell’attività d’impresa.
L’imprenditore era stato condannato dal Tribunale di primo grado per il reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 74 del 2000 per aver omesso di versare IVA per 250.808 euro nell’anno 2010.
La decisione di primo grado era stata confermata anche dalla Corte di appello e l’imprenditore aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, da un lato, il mancato superamento della soglia di punibilità, in violazione del disposto di cui al richiamato art. 10-ter e, dall’altro, la manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione al calcolo della soglia prevista dalla legge penale.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso e annullato senza rinvio la sentenza d’appello impugnata.
Sanzioni omesso versamento IVA e calcolo degli interessi
La controversia in commento ruota intorno al reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, previsto dall’art. 10-ter del d.lgs. 74/2000, come modificato dal d.lgs. n. 158/2015 che ha revisionato il sistema sanzionatorio tributario, penale e amministrativo, secondo un principio di proporzionalità rispetto alla gravità di comportamenti.
A seguito della novella introdotta dall’art. 8 del d.lgs.158/2015,
“è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.”
Nel caso di specie il ricorrente lamentava il mancato superamento della soglia di punibilità.
Da un lato, infatti, i giudici avevano calcolato l’imposta evasa in 250.808 euro, pari all’importo indicato al rigo VL38 della dichiarazione IVA mentre, a parere dell’imprenditore, l’imposta effettivamente non versata era pari a 248.325 euro, come da rigo VL32, quindi sotto la soglia penalmente rilevante. La differenza era imputabile agli interessi legati al versamento trimestrale dell’imposta, pari a 2.483 euro e indicati al rigo VL36.
A parere del ricorrente l’imposta non versata era inferiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge penale in quanto
“gli interessi non sono da considerarsi voce dell’imposta, ma sanzione a tutti gli effetti”
I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ritenuto fondata la tesi dell’imprenditore, rilevando la mancanza dell’elemento oggettivo del reato di omesso versamento dell’imposta, che si configura solo per omessi versamenti superiori a 250.000 euro.
Infatti, l’art. 1 co. 1, lett. f) del d.lgs. 74 del 2000 definisce:
“imposta evasa … la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili.”
È innegabile, quindi, che dal calcolo della soglia rilevante ai fini penali debbano essere esclusi gli interessi per il pagamento trimestrale, in quanto somme non afferenti l’imposta effettivamente dovuta. Di conseguenza l’IVA non versata, rilevabile nel caso di specie al rigo VL 32 della dichiarazione annuale (IVA a debito) e non al VL38 (Totale IVA dovuta, comprensiva anche degli interessi dovuti in sede di dichiarazione annuale), è certamente sottosoglia.
Ai fini della configurabilità del reato a nulla rileva che i fatti siano stati compiuti in un’annualità precedente all’introduzione del d.lgs. 158/2015 (in vigore dal 22 ottobre 2015), stante l’innalzamento della soglia di punibilità da 50.000 a 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta.
Sul tema della parziale abrogazione del reato nell’ipotesi di modifica della soglia penalmente rilevante, i giudici di legittimità hanno ribadito che:
“la modifica dell’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 ad opera dell’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all’ammontare di euro 150.000,00, ha determinato una abolitio criminis parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente.”
In altre parole la mutata soglia di punibilità del reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (e di omesso versamento di ritenute certificate ex art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000), legata a un mutato giudizio di offensività della condotta omissiva, comporta che al di sotto della soglia penalmente rilevante operano soltanto misure sanzionatorie di tipo amministrativo.
Pertanto, configurando la soglia di punibilità un elemento costitutivo della fattispecie penale,
“è evidente che la sua modifica rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente poiché ne restringe l’ambito applicativo, rimanendo l’area della punibilità circoscritta alle sole condotte che si collochino al di sopra della nuova soglia.”
Alla luce di tali chiarimenti, essendo palese l’omesso versamento di somme inferiori a 250.000 euro, i giudici di legittimità hanno deciso per l’annullamento senza rinvio della sentenza d’appello impugnata dall’imprenditore perché il fatto non sussiste in quanto
“nel reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, il superamento della soglia di punibilità - fissata, in 250.000 euro, in seguito alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, in 250.000 euro - non configura una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l’assoluzione con la formula il fatto non sussiste.”
Deve quindi ritenersi valido il principio per cui, per valutare il superamento della soglia di punibilità prevista ai sensi dell’art. 10-ter del d.lgs. 74/2000
“deve tenersi conto solo ed esclusivamente dell’IVA evasa e non anche degli interessi dovuti per il versamento trimestrale”
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Omesso versamento IVA: calcolo dell’imposta evasa senza interessi