Per accettazione sociale e per consuetudine il negozio giuridico sta per diventare digitale. Gli strumenti elettronici cristallizzano parole e situazioni: già oggi mail e messaggi istantanei hanno un rilievo giuridico, e presto sarà superfluo doverlo specificare.
Il negozio giuridico elettronico è ormai a un tratto dal raggiungere e superare il negozio giuridico analogico: per accettazione sociale e per consuetudine (quantità di volte giuridicamente rilevante).
Lungi dal valutare sul piano dell’etica l’evoluzione delle cose, il compito più congruo, soprattutto del professionista, è di regolare gli argini della corrente digitale e fare in modo che non esondi ai danni di chi, volente o nolente, a quelle modalità della circolazione dei rapporti giuridici si deve adattare.
Qui e adesso siamo in pieno zig-zag alla ricerca di orientamento. I messaggi Whatsapp o simili sono un documento ai fini probatori?
Forse sì, forse no (commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, sentenza n. 105/01/21, depositata il 14 aprile 2021).
E che ne è della stampa cartacea delle comunicazioni di posta elettronica e degli screenshot di qualsiasi device? Ed è meglio la firma autografa su un pezzo di carta o la firma digitale su un file?
Questioni che tra un battito di ciglia saranno teneri ricordi. Come quei fax ancora caldi su carta termica.
Il problema è sempre e solo uno solo: la fiducia, la fede pubblica.
Il web diritto al comando
La fiducia nelle persone, nei comportamenti è, ridotta all’osso, un problema statistico.
Ci si fida di più tanto più elevato è il grado di conformismo. Quando la condotta di uno diventa la condotta di tanti, l’anomalia diventa normalità e la prassi diventa regola e la regolarità diventa norma, cioè riceve una investitura giuridica e produce effetti nel mondo delle relazioni giuridicamente rilevanti.
Chi ha iniziato la vita professionale ancora nel 20° secolo scorso (fisico, materiale, analogico, in presenza, contratti firmati in fede e con inchiostro, depositi di atti agli sportelli previa coda impaziente, intelligenza cerebrale e un “Blade runner” sul grande schermo per immaginare macchine umanoidi, ecc.) sente su di sé il peso della sperimentazione del nuovo mondo che verrà, tra poco, anzi pochissimo: il mondo virtuale, olografico, digitale, da remoto, contratti perfezionati con la blockchain, depositi telematici con PEC e upload e attenzione ai bytes caricati, algoritmi e AI e un “Blade Runner” per sorridere, in compagnia di un cyberuomo, su come nel passato si immaginavano i robot alla ricerca di una umanità.
Stiamo preparando il terreno a un giorno in cui non ci si chiederà nemmeno più quali siano le condizioni alle quali il dato elettronico può produrre l’effetto giuridico e non ci sarà bisogno di arrovellarsi sul quesito se ogni volta che pubblichiamo un contenuto in rete produciamo qualche cosa di giuridicamente rilevante.
Questo capiterà tanto più in fretta quanto prima sarà entrata a regime la sicurezza in rete e sarà come nella vita reale camminare per strada.
Allora, vorrà dire che sarà scontato e ovvio che una interazione in rete possa anche un negozio giuridico: qual è il problema?
Oggi ancora si dice che un una stretta di mano vale a perfezionare un contratto (salvo vincoli di forma), nel futuro che ci chiama da dietro l’angolo, si dirà che un click avrà la stessa efficacia e, anzi, la stretta di mano sarà segno di malaffare e degna di sospetti.
Professionisti in prima linea per la regolamentazione del diritto del mondo elettronico
Ora abbiamo bisogno ancora delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale per rassicurarci, spauriti e incerti sul ponte della transizione elettronica, che il file è una scrittura, a certe condizioni è una scrittura autenticata e le condizioni alle quali una versione elettronica è l’originale di un atto pubblico, di un rogito o un provvedimento della pubblica amministrazione.
Scorreremo a colpi di scroll lo schermo che ci proietta il vetusto decreto legislativo 82/2005, soffermandoci tra gli altri sugli articoli 21, 22 e 39 e capiremo il malinconico sorriso di chi giudicava con amorevolezza l’ingenua meraviglia di fronte ai dagherottipi della metà del 19° secolo.
Oggi, agli inizi del terzo millennio, abbiamo ancora bisogno di quelle regole nate vecchie e che sono già travolte dalla quotidiana abitudine di molti, che è a un passo dal diventare consuetudine (fonte del diritto).
Su questa scia di consapevole anticipazione, il professionista deve muoversi sapendo che vive la precarietà delle regole e deve essere catalizzatore di nuovi equilibri.
Il professionista deve sforzarsi di arricchire già adesso le abitudini digitali proprie e dei propri clienti, quando ovviamente non rivestono contenuti e finalità meramente ludiche.
Già oggi ha un rilievo giuridico mandare una mail o un messaggio scritto con i sistemi istantanei o un documento con i servizi cloud, rispondere “sì” o “no” o non rispondere affatto a un “vocale”.
Forse le leggi e, quindi, le aule di giustizia non hanno tutto apparecchiato per trarne tutte le conseguenze.
Ma non fa niente. La comunicazione, qualunque sia il mezzo, produce sempre effetti e, magari, sono dichiarazioni di scienza e di volontà, e lo sono lo stesso anche se il mezzo è elettronico. Il device elettronico non è solo una cosa per fare i selfie, ma è un supporto che cristallizza parole e situazioni, cioè prove del negozio giuridico elettronico.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il negozio giuridico diventa digitale