Se l'attività viene chiusa per cause di forza maggiore non imputabili al lavoratore, la Naspi anticipata non deve essere restituita integralmente. La restituzione riguarda solo il periodo in cui il lavoratore ha un contratto di lavoro dipendente. I chiarimenti della Corte Costituzionale
Nel caso in cui l’INPS abbia erogato a un lavoratore la Naspi anticipata, come incentivo all’autoimprenditorialità, se l’attività cessa per cause di forza maggiore non può essere richiesta l’intera somma.
A stabilirlo è la sentenza della Corte Costituzionale n. 90, depositata il 20 maggio 2024.
I giudici dell’organo di garanzia costituzionale fanno riferimento ai principi di ragionevolezza e di proporzionalità.
La restituzione deve essere parziale e calcolata sulla base della durata del rapporto di lavoro subordinato, instaurato nel periodo coperto dalla Naspi. In tale periodo, infatti, l’indennità verrebbe ricevuta indebitamente.
Naspi anticipata: nel caso di cessazione dell’attività per cause di forza maggiore, restituzione non integrale
Con la sentenza numero 90, depositata il 20 maggio 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima una parte dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22.
L’illegittimità è stata riscontrata per la parte relativa alla restituzione della Naspi anticipata nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non può proseguire l’attività di impresa per la quale è stata erogata l’anticipazione per impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile.
Il caso concretamente esaminato è quello di un lavoratore che aveva perso il posto di lavoro e aveva richiesto l’incentivo all’autoimprenditorialità per aprire un bar. L’attività è stata successivamente chiusa a causa delle restrizioni legate all’emergenza coronavirus. Il soggetto ha successivamente trovato lavoro, con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, nel periodo di spettanza della Naspi.
Sulla base delle regole dichiarate incostituzionali il lavoratore avrebbe dovuto restituire interamente l’importo ricevuto, relativo alla Naspi anticipata.
Nel caso di “impossibilità sopravvenuta o insuperabile oggettiva difficoltà” dell’attività, in cui rientrano le restrizioni per il COVID, la norma viola:
““il principio di proporzionalità e ragionevolezza, nonché il diritto al lavoro, di cui agli articoli 3 e 4 della Costituzione.””
Naspi anticipata: rimborso parziale nel caso di chiusura per forza maggiore
Nella sentenza depositata ieri dalla Corte Costituzionale si osserva che, se l’attività imprenditoriale è stata effettivamente iniziata e proseguita per un apprezzabile periodo di tempo, può essere soddisfatta la finalità antielusiva della misura.
Di conseguenza, nel caso in esame, deve essere riproporzionato l’obbligo di restituzione dell’indennità.
Nello specifico la restituzione deve interessare la somma corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, instaurato nel periodo coperto dalla Naspi.
Tale periodo è, infatti, quello in cui l’indennità è considerata priva di causa e quindi una percezione indebita.
La recente pronuncia della Corte di Cassazione segue una precedente decisione, la numero 194 del 2021.
Viene quindi ribadito che il rischio d’impresa per il lavoratore che scegli l’anticipazione dell’intera Naspi, in caso di mancato di successo dell’attività, non esonera dalla restituzione integrale dell’anticipazione se viene instaurato un rapporto di lavoro subordinato nel periodo di percezione della Naspi.
Il caso della cessazione dell’attività per impossibilità sopravvenuta deve invece essere considerato diversamente, come chiarito nella recente pronuncia della Corte Costituzionale.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Naspi anticipata: rimborso parziale in caso di chiusura dell’attività per cause di forza maggiore