La detrazione IVA spetta anche per le società di comodo

Anche le società di comodo che esercitano effettivamente un'attività economica possono accedere alla detrazione IVA: sul tema si è espressa la Corte di Cassazione

La detrazione IVA spetta anche per le società di comodo

Non si può negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, non ha prodotto ricavi ed è ricaduto nello stato di non operatività sulle c.d. “società di comodo”, in quanto nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto alla detrazione al requisito del raggiungimento di una certa soglia di ricavi.

Ai fini IVA, pertanto, ciò che rileva è esclusivamente il fatto che detto soggetto, in un determinato periodo d’imposta, abbia esercitato effettivamente un’attività economica, ponendosi l’art. 30 della legge n. 724 del 1994 in contrasto con l’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 24442 del 2024 in tema di rimborso IVA nell’ipotesi delle cd. “società di comodo”.

Detrazione IVA anche per le società di comodo? Sul tema si esprime la Corte di Cassazione

La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto da una società avverso il rigetto del rimborso IVA disposto perché la società, a detta dell’Ufficio, era da considerarsi non operativa a fronte delle perdite sistematiche e del mancato superamento dei parametri previsti dalla L. n. 724 del 1994.

La CTP ha rigettato il ricorso e il giudizio è giunto in dinanzi alla CTR che, confermando la decisione di prime cure, ha chiarito che la ricorrente, non avendo prodotto ricavi è ricaduta nello stato di non operatività ex art. 30 L. 724 del 1994 sulle c.d. società di comodo e da qui derivava l’impossibilità di poter ottenere il rimborso IVA richiesto.

La società ha impugnato la decisione d’appello lamentando l’operato dei giudici e affermando di aver fatto tutto ciò che rientrasse nell’ambito della propria sfera decisionale per svolgere effettivamente l’attività economica programmata e che soltanto a causa di impedimenti oggettivi (mancato rilascio dei necessari permessi ed autorizzazioni edilizio-urbanistici ed ambientali), indipendenti dalla propria volontà, non è riuscita ancora a realizzare l’oggetto sociale.

Secondo la ricorrente, l’impugnata sentenza di appello si limita ad operare un rinvio motivazionale alla sentenza di prime cure che non consente di ritenere espresso l’iter logico – giuridico che l’ha condotta a decisione, anche in quanto facendo applicazione della ridetta disciplina in tema di c.d. “società di comodo” il principio di neutralità ed il conseguente diritto di detrazione sarebbero totalmente violati ed in concreto vanificati e svuotati, così come gli ulteriori principi di effettività e proporzionalità.

Detrazione IVA e società di comodo: la posizione della Corte di Cassazione

La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il motivo di doglianza. I giudici hanno richiamato la Sentenza della Corte di Giustizia UE del 7 marzo 2024 in causa C-341/22, Feudi di San Gregorio Aziende Agricole s.p.a., in cui la Corte unionale ritiene in sostanza che la qualità di soggetto passivo non sia subordinata alla condizione che una persona effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, la quale corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ciò che rileva al riguardo è esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica.

Inoltre, la Corte di Giustizia ha ritenuto il richiamato art. 30 contrario all’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui prevede la perdita del credito IVA “in quanto nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia”.

In buona sostanza il diritto alla detrazione dell’IVA, in presenza di tutte le condizioni previste, costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni a meno che non sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso sia stato invocato in un contesto di frode o evasione.

La Corte dell’Unione ha ritenuto che il criterio della soglia dei ricavi, individuato dall’art. 30 in argomento, non si basi su una valutazione della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate nel corso di un determinato periodo d’imposta, ma solo sulla valutazione del loro volume.

Tale criterio, quindi, non appare idoneo a dimostrare che il diritto alla detrazione dell’IVA sia stato invocato in modo fraudolento o abusivo.

Nel caso di specie, proprio con riferimento alla mancata produzione di ricavi, la sentenza di merito ha ritenuto tale elemento idoneo e sufficiente a escludere la soggettività IVA in capo alla contribuente. Tuttavia, così argomentando la sentenza impugnata risulta non conforme ai principi Unionali sopra riportati e ciò ha indotto la Corte di cassazione a cassare tale decisione.

Sul punto, la Corte di cassazione ha ritenuto opportuno enunciare il seguente principio di diritto:

“In materia di società non operative, alla stregua della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE, sent. 7 marzo 2024 in causa C-341/22, Feudi di San Gregorio Aziende Agricole s.p.a.), l’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, va interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini di tale imposta il cui valore economico non raggiunga la soglia fissata da una normativa nazionale, che corrisponda ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale soggetto dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia. Pertanto, ciò che rileva ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994 è esclusivamente il fatto che detto soggetto, in un determinato periodo d’imposta, abbia esercitato effettivamente un’attività economica, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi.

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