Cos'è il rating aziendale e come si inserisce nell'ambito del controllo di gestione?
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Le imprese possono essere soggette a valutazione e il rating aziendale si configura come un’espressione di tale processo valutativo.
Di norma, viene attribuito un punteggio che riflette la capacità dell’impresa di far fronte agli impegni finanziari.
Una classificazione alta trasferisce ai creditori, e ai potenziali nuovi investitori, un certo grado di affidabilità. Una classificazione più bassa potrebbe invece allertare e scoraggiare gli operatori di mercato.
Avendo un peso non indifferente, è importante comprendere in che modo la gestione aziendale possa contribuire ad ottimizzare il rating e quali sono, generalmente, gli indicatori maggiormente utilizzati come focus dalle agenzie.
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L’impresa che intende avvalersi di un servizio di rating, infatti, affida solitamente ad un’agenzia esterna il compito di analizzare la sua situazione creditizia, ovviamente dietro pagamento di un corrispettivo.
Per le grandi società, il rating aziendale è tipicamente realizzato dalle agenzie specializzate nella valutazione del rischio di credito. Tra quelle più rilevanti a livello globale vi sono indubbiamente Standard and Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings.
Come funziona l’analisi?
Partiamo dal presupposto che assegnare il “voto” ad un’azienda richiede un procedimento per sua natura complesso. È infatti necessario incrociare volumi di informazioni abbastanza consistenti. Tipicamente, le agenzie di rating si avvalgono di informazioni di natura qualitativa e di natura quantitativa.
A semplice titolo esemplificativo, per poter esprimere un parere creditizio si utilizzano spesso come parametri quantitativi:
- i dati economici degli ultimi tre bilanci di esercizio;
- la solidità patrimoniale;
- la liquidità;
- la produttività;
- la redditività;
- eventuali situazioni di insolvenza;
- protesti.
A livello qualitativo, sono invece oggetto di analisi:
- l’organizzazione, la struttura e la composizione dell’organigramma;
- il mercato di riferimento;
- la concorrenza e la competitività dell’impresa.
Il controllo di gestione nella parte quantitativa: cura del sistema informativo
Come appena esposto, l’andamento aziendale negli ultimi tre esercizi è la base di partenza dell’analisi. Si considera un tempo medio per poter effettuare le osservazioni iniziali. Appare quasi scontato che avere una situazione in ordine può gettare le basi per un giudizio positivo da parte delle agenzie di rating.
Oltre alla tenuta economica, è importante dotarsi di un sistema informativo efficiente, in grado di offrire agli operatori i migliori strumenti per una valutazione puntuale. La trasparenza e l’affidabilità dei dati rappresentano infatti due aspetti di notevole rilevanza.
Indici di solidità
Essere un’azienda solida significa essere un’impresa in grado di far fronte alle proprie obbligazioni. Esattamente quello che un’agenzia di rating valuta. Ecco perché l’analisi dei principali indicatori rappresenta un riferimento importantissimo. Un’impresa sana deve sempre monitorare l’andamento dei suoi indicatori, al fine di attuare eventuali interventi correttivi per riparare alle problematiche.
La solidità dal punto di vista patrimoniale rappresenta la capacità di durare nel corso del tempo, cercando di trovare un punto d’equilibrio tra gli investimenti e i finanziamenti. In merito a quest’ultima fase, si tiene molto in considerazione la capacità di finanziarsi con mezzi propri, evitando di esporsi ad un alto rischio di indebitamento.
Nella quasi totalità delle realtà imprenditoriali, il debito è necessario. Serve per poter sostenere le attività. Dunque, è chiaro che avrà un impatto molto importante sulla struttura finanziaria.
Quello che una buona gestione aziendale deve riuscire a fare è tenere sotto controllo il ricorso a mezzi di terzi. A tal proposito, di seguito si presenta una tabella esplicativa dei principali indici di solidità.
Indicatore | Formula |
---|---|
Leverage (leva finanziaria) | Capitale proprio+Capitale di terzi/Capitale proprio |
Autonomia finanziaria | Capitale proprio/Capitale proprio+Capitale di terzi x 100 |
Autocopertura delle immobilizzazioni | Capitale proprio/Immobilizzazioni |
Sostenibilità patrimoniale | Passività finanziarie-Attività finanziarie/Capitale proprio |
Interpretazione degli indicatori
Leverage: in caso di valore pari a 1, situazione ideale (ma poco realistica), l’azienda è dotata solamente di mezzi propri. Un valore accettabile è quello compreso tra 1 e 2: in tal caso, il debito “pesa” sulla struttura con intensità inferiore rispetto al capitale di proprietà. Il superamento di tale limite è il segnale di allerta, in quanto significa che l’indebitamento sta crescendo e ha superato percentualmente i mezzi propri. Appare lampante che un’agenzia di rating valuti positivamente le imprese che riescono a contenere tale effetto.
Autonomia finanziaria: è sostanzialmente il reciproco della leva finanziaria, espresso in percentuale. Più è alto tale valore, più significa che l’azienda è indipendente rispetto ai terzi finanziatori. Per analogia, il livello del 50% è considerato spartiacque: sotto tale percentuale, aumenta il rischio, che incide sulla valutazione della capacità di solvibilità dell’impresa.
Autocopertura delle immobilizzazioni: per essere positivo, tale indice deve avere un valore pari o superiore a 1. Ciò significa che le attività durevoli sono state finanziate tramite capitale proprio. Questo è fondamentale perché l’attivo immobilizzato si trasforma in utile nel corso degli anni. Esporsi ad un indebitamento, magari a breve termine, rischia di avere effetti distorsivi sulla struttura. La situazione appena menzionata è quella ideale. Può comunque essere considerato accettabile anche un rapporto fino a un terzo; sotto il 33%, significa che i mezzi di terzi hanno un’incidenza talmente elevata rispetto al capitale fisso da mettere a rischio la solidità dell’azienda.
Sostenibilità patrimoniale: questo indicatore è molto considerato dai potenziali investitori. Se il valore dovesse essere superiore a 1, ciò significa che l’esposizione debitoria finanziaria è più alta del capitale proprio. Questo implica che quest’ultimo non è in grado di coprire sufficientemente il debito finanziario netto. Un dato che inevitabilmente può portare ad una penalizzazione del rating con tutto ciò che ne consegue.
Gli indici di liquidità
La liquidità è soggetta ad una valutazione approfondita. Far fronte alle obbligazioni significa avere la capacità di pagare i relativi debiti in concomitanza delle relative scadenze. Ovviamente, è molto legata sia alla situazione economica che a quella finanziaria e patrimoniale.
Anche in questo caso è possibile sintetizzare i principali indicatori.
Indicatore | Formula |
---|---|
Liquidità immediata | Liquidità immediate/Passività correnti |
Liquidità primaria | Liquidità immediate+Liquidità differite/Passività correnti |
Liquidità secondaria | Liquidità immediate+Liquidità differite+Rimanenze/Passività correnti |
Tendenzialmente, gli indici di liquidità assicurano un risultato positivo nel caso di valore pari o superiore a 1.
Nel caso della liquidità immediata, è possibile tollerare anche un valore leggermente più basso, sebbene sia preferibile conseguire il risultato di cui sopra. In tale ipotesi, l’impresa avrebbe la possibilità di pagare i debiti a breve scadenza ricorrendo alle sole disponibilità di conto corrente e di cassa.
L’indice di liquidità primaria include le liquidità differite, rappresentate dai crediti. Non sono moneta, ma hanno alle spalle operazioni già contrattualizzate e completate. Questo elemento si lega ad un sistema finanziario aziendale che deve essere il più possibile efficiente nella gestione degli incassi.
La liquidità secondaria aggiunge infine le rimanenze. Questo indicatore è valido principalmente per le aziende di produzione di beni. Rimanenze di materie prime, materie di consumo e, alternativamente, prodotti finiti (aziende industriali) o merci (aziende commerciali) non sono ancora liquidità, ma vengono considerate come fonti di potenziali vendite e, conseguentemente, di introito liquido futuro.
Gli altri parametri quantitativi
Gli indicatori di produttività sono tantissimi e possono fornire spunti sia per il management aziendale che per le agenzie di rating. Si usa distinguere gli indici in due sottocategorie: gli indici di produttività del lavoro e del capitale.
Nei primi rientrano, a semplice titolo esemplificativo, il fatturato medio per lavoratore o il costo medio per dipendente, entrambi molto significativi della tenuta produttiva aziendale.
Sotto il profilo del capitale si può misurare l’indice di rotazione delle immobilizzazioni (rapporto tra ricavi di vendita e attivo immobilizzato).
Gli indici di redditività sono invece quelli maggiormente utilizzati nell’analisi di bilancio e che forniscono informazioni sullo stato di salute finanziaria dell’impresa:
- ROE = Utile netto/Patrimonio netto x 100
- ROI = Reddito operativo/Capitale investito x 100
- ROS = Reddito operativo/Fatturato netto x 100
- ROD = Oneri finanziari/Finanziamenti di terzi x 100
I fattori qualitativi
Fin qui sono stati esposti gli aspetti numerici e misurabili con una certa oggettività. Vi sono poi diversi parametri qualitativi da interpretare e tenere in debita considerazione.
L’organizzazione interna può rappresentare un valore aggiunto. Definire in modo chiaro le strategie e avere all’interno personale motivato e con competenze certificate possono rappresentare dei punti di forza nella determinazione del rating.
Non solo, però: occorre anche un’analisi esterna. Il settore in cui si opera è in fase di sviluppo o è in via di saturazione? L’impresa sta adottando tutti gli accorgimenti necessari per rispondere alle nuove esigenze della clientela? Tecnologicamente è al passo? Tanti quesiti, le cui risposte possono fornire materiale per la valutazione.
I punteggi
In definitiva, sebbene esposto estremamente in sintesi, le agenzie di rating analizzano a fondo tali aspetti, integrandoli con dati e informazioni di diverso genere. Una volta effettuato tale processo, rilasciano un punteggio, che può avere un impatto notevole sull’andamento futuro dell’azienda.
Le agenzie utilizzano un sistema di punteggio a scalare. Prendendo come riferimento le prime tre al mondo, il livello di massima sicurezza del capitale è considerato AAA. Un rating alto è invece denominato AA (S&P e Fitch utilizzano i sottolivelli AA+, AA e AA-, mentre Moody’s li classifica come Aa1, Aa2 e Aa3). Anche una sola A può garantire un livello medio-alto, ma bisogna prestare molta attenzione alla declassificazione: se un’impresa, ad esempio, prima del nuovo rating possedeva una tripla A e ne perde una, l’effetto sui mercati potrebbe essere micidiale, pur restando in una solida posizione.
La classe B comincia a mostrare dei limiti, in cui il debito è prevalentemente speculativo. Ancor peggio è la classe C, in cui il rischio speculativo è molto forte. S&P e Fitch hanno anche la classe D, che sta a significare che la società è sostanzialmente insolvente.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il controllo di gestione nell’ottica del rating aziendale