Nell'accertamento sui trasferimenti immobiliari basato sulle presunzioni semplici occorre valorizzare i diversi elementi presuntivi dedotti dall’Ufficio, se tali presunzioni sono gravi, precise e concordanti.
La Suprema Corte chiarisce che il valore del mutuo, la natura antieconomica dell’attività dell’impresa, i diversi prezzi di vendita dell’immobile possono incidere sulla legittimità nel quantum degli atti impositivi.
Con riferimento alla controversa al centro dell’Ordinanza numero 1155 del 16 gennaio 2023 della Corte di Cassazione, si fa presente che l’Agenzia delle Entrate ha effettuato il recupero del maggior reddito, tra l’altro, ai fini IVA, nei confronti di una società immobiliare in relazione ad alcune vendite immobiliari sottofatturate; tale maggior reddito veniva individuato, per alcuni immobili, con riferimento al valore OMI e, per altri, all’importo del mutuo contratto dagli acquirenti.
La CTP competente accoglieva in parte il ricorso rideterminando l’imponibile nella misura del 70 per cento dell’accertato.
La CTR rigettava gli appelli proposti in via principale dai contribuenti e in via incidentale dall’Ufficio; in particolare, i giudici di secondo grado evidenziavano che pur non essendo l’articolo 35, comma 23-bis del DL n. 223 del 2006 applicabile al caso di specie e quindi non essendo automaticamente utilizzabile l’importo del mutuo quale valore normale di vendita, tale elemento rivestiva una valenza indiziaria che insieme al valore OMI confermava una sottostima dei valori di cessione; inoltre, quanto alla misura dell’abbattimento del 30 per cento, evidenziava che la contribuente non avesse provato ulteriori elementi idonei a fondare una diversa riduzione dell’ imponibile.
Avverso la pronuncia della CTR hanno proposto ricorso in Corte di Cassazione i soci della società immobiliare, mentre l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso incidentale.
In particolare, i soci lamentano che l’Ufficio e quindi la CTR non avrebbero adeguatamente motivato l’accertamento senza fare riferimento alla ubicazione, alle caratteristiche urbanistiche degli immobili, all’area sulla quale insistono, alla comparazione con aree limitrofe, all’area utilizzabile a scopo edificatorio, all’ indice di edificabilità, agli oneri per lavori di adattamento del terreno, esposti anche in una perizia di parte; inoltre, l’Agenzia non avrebbe tenuto conto dei costi relativi ai maggiori ricavi.
La Corte si sofferma sulle presunzioni semplici nell’ambito delle attività di accertamento
La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dopo aver esaminato il relativo quadro normativo vigente in materia.
L’articolo 54, comma 3, del DPR n. 633 del 1972, dopo il DL n. 223 del 2006 prevedeva che “per le cessioni aventi ad oggetto i beni immobili e relative pertinenze, la prova di cui al precedente periodo si intende integrata anche se l’esistenza delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al comma 2 sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’art. 14 del presente decreto”.
L’articolo 35, comma 23-bis, del DL n. 223 del 2006, prevedeva che “per i trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, ai fini delle disposizioni di cui al D.P.R. 12 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 3, ultimo periodo, il valore normale non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o finanziamento erogato”.
Sussisteva, quindi, una presunzione legale relativa di corrispondenza tra il valore normale dei beni immobili ceduti calcolato ai fini dell’imposta di registro e quello reale.
Al riguardo, l’articolo 1, comma 265, della legge n. 244 del 2007, in vigore dal 1° gennaio 2008, ha stabilito che le presunzioni legali relative, legate al valore normale, si applicavano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4 luglio 2006, mentre per gli atti formati anteriormente valevano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici.
Successivamente, l’articolo 24, comma 5, della legge n. 88 del 2009, ha modificato sia l’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, sia l’articolo 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, eliminando le disposizioni introdotte con l’articolo 35 del D.L. n. 223 del 2006, con la conseguente previsione di una presunzione semplice, seppure rafforzata dalla gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi.
È stato così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, con la soppressione della presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene.
Pertanto, il giudice può desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
La Corte ha affermato che, in seguito alla eliminazione della presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (con ripristino del precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.
Tale mutato quadro normativo non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, per non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto.
Al riguardo, l’importo del mutuo erogato, superiore al prezzo dichiarato nell’atto, è idoneo a fondare l’accertamento.
La CTR ha assunto la propria decisione evidenziando che le normative vigenti non permettevano di adeguare automaticamente il valore degli immobili compravenduti al valore del mutuo ma che tali elementi potevano essere apprezzati come presunzioni semplici idonee a fondare l’accertamento, con riferimento all’appello dei contribuenti.
Accertamento sui trasferimenti immobiliari e presunzioni semplici: le conclusioni della Corte di Cassazione
Ciò premesso, la Corte ritiene che il motivo proposto dai ricorrenti sia inammissibile, costituendo una generica critica contro la sentenza impugnata, ciò costituendo violazione del principio di specificità e di chiarezza.
Con riferimento ai motivi proposti dall’Agenzia, da un lato essa censura la violazione dell’articolo 35 del D.L. n. 223 del 2006, e d’altra parte dichiara di aver dedotto nell’appello incidentale due elementi fattuali di cui la CTR non ha tenuto alcun conto, vale a dire la condotta antieconomica imputabile alla società e la vendita dell’appartamento laddove nell’atto di acquisto del 50 per cento effettuato nel 2007 tra moglie e marito era stato dichiarato un prezzo quasi pari a quello dichiarato al momento dell’acquisto dell’intero appartamento.
Di tali rilievi la CTR dava atto genericamente in appello senza compierne alcun esame, nonostante gli stessi potessero rivelarsi decisivi al fine di una diversa soluzione della lite.
La Corte ha quindi ritenuto fondati i motivi addotti dalla Agenzia, in quanto la CTR, pur avendo ritenuto il quadro indiziario sostanzialmente idoneo a smentire quanto dichiarato dalle parti negli atti di acquisto, non ha riconosciuto il giusto valore, al fine di determinare l’importo oggetto di recupero all’importo del mutuo, e non ha valorizzato le ulteriori circostanze dedotte dall’Ufficio, applicando quindi una riduzione dell’accertato priva di giustificazioni.
L’Agenzia delle Entrate in particolare ha contestato la pronuncia con cui la CTR, pur riconoscendo la sussistenza di ulteriori elementi presuntivi dedotti dall’Ufficio a fondamento della maggior pretesa (il valore del mutuo, la natura antieconomica dell’attività della impresa, la vendita di metà di un immobile due anni dopo a un prezzo pari all’ importo dell’intero) e pur avendo rilevato l’assenza di argomentazioni in favore della parte contribuente, non ha riconosciuto la totale legittimità degli atti impositivi anche nel quantum, confermando invece la riduzione del 30 per cento.
La Corte perviene quindi alla conclusione che il ricorso dell’Agenzia deve essere accolto in quanto la CTR, nella sentenza impugnata, pur fornendo riscontro positivo al complessivo quadro presuntivo offerto dall’Amministrazione nei suoi vari elementi fattuali (valori OMI, importo dei mutui, carattere antieconomico della attività, esistenza di una transazione pochi anni dopo ad un valore confermativo del prezzo accertato), ha comunque, confermato la riduzione dell’accertato nella misura del 30 per cento, senza fornire reali giustificazioni al riguardo.
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