La residenza fiscale dei nomadi digitali si determina anche in base alla permanenza sul territorio italiano. Chi lavora in smart working e vive nel Paese per più di metà anno pagherà le tasse in Italia
Lavoratori e lavoratrici che svolgono la propria attività in smart working dovranno versare la tasse in Italia se risiedono nel Paese per più di 183 giorni nell’anno.
A fornire i chiarimenti è la nuova circolare dell’Agenzia delle Entrate che approfondisce il concetto di residenza fiscale alla luce delle ultime novità.
La presenza fisica sul territorio nazionale, infatti, assume rilievo nel determinare la residenza fiscale di chi lavora in modalità agile.
Smart working: tassazione in Italia se si vive nel Paese per più di 183 giorni
L’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 20 del 4 novembre ha approfondito i diversi fattori in base ai quali si determina la residenza fiscale in Italia e fa il punto sulle regole da seguire aggiornate con le ultime modifiche.
In linea generale per le persone fisiche è determinante il periodo di presenza sul territorio dello Stato mentre per gli enti e le società, in via alternativa, la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale.
Sulla spinta dell’aggiornamento della normativa che deriva dai lavori della riforma fiscale, infatti, la nuova formulazione dell’articolo 2, comma 2 del TUIR dal 2024 ha introdotto il criterio della presenza fisica nel territorio dello Stato, con particolare attenzione alla sfera delle relazioni personali e familiari della persona.
Sono quindi aggiornati i precedenti tre criteri in base ai quali le persone fisiche si considerano residenti in Italia:
- iscrizione all’anagrafe della popolazione residente;
- domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile;
- residenza nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile.
Requisiti, ricordiamo, alternativi tra loro: anche solo è sufficiente a determinare la residenza fiscale.
Indicazioni che si applicano anche ai lavoratori e alle lavoratrici che svolgono la propria attività in smart working in contesti internazionali.
Smart working dall’estero: quando scatta la residenza fiscale in Italia?
Come specificato dalla stessa Agenzia delle Entrate nella circolare n. 25/2023 sulla corretta tassazione dei redditi legati al lavoro svolto da remoto o agile, fino allo scorso anno le disposizioni vigenti portavano a considerare fiscalmente residenti in Italia i lavoratori e le lavoratrici che rientravano, per la maggior parte del periodo d’imposta, nei criteri elencati in precedenza.
A questo, come detto, si aggiunge il fattore della permanenza fisica sul territorio dello Stato del lavoratore, per cui la residenza fiscale è determinata dalla permanenza in Italia per almeno 183 giorni nell’anno (184 se bisestile).
Si considerano anche periodi non consecutivi. Non è necessario quindi che i 183 giorni ricorrano in modo continuativo ed ininterrotto.
L’AdE evidenzia inoltre che nel caso in cui il lavoratore in smart working abbia radicato la propria residenza fiscale in Italia, dovrà assoggettare a tassazione in Italia tutti i suoi redditi, ovunque prodotti, e non solo quelli che derivano dalla sua attività lavorativa (fatta eccezione per quanto disposto dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia).
Per quanto riguarda, invece, chi lavora in smart working dall’estero si precisa che le persone fisiche mantengono la residenza fiscale in Italia anche se lavorano da uno Stato estero (dove sono fisicamente presenti per 183 giorni l’anno) nel caso in cui soddisfino uno degli altri tre criteri individuati che determinano la residenza, cioè mantengono la loro residenza civilistica o il loro domicilio in Italia oppure risultano iscritti nell’anagrafe della popolazione residente.
Tutti i dettagli nel testo integrale della circolare.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Smart working: tassazione in Italia se si vive nel Paese per più di 183 giorni