Jobs Act: introdotto con il decreto legislativo 23/2015 il nuovo sistema di tutele crescenti ha comportato cambiamenti su incentivi alle imprese e licenziamenti. Ecco tutte le informazioni più importanti a riguardo.
Jobs Act: entrato in vigore il 7 marzo 2015, il nuovo contratto a tutele crescenti cerca di conciliare incentivi alle imprese in caso di assunzioni a tempo indeterminato con maggiori gradi di manovra per il datore di lavoro in caso di licenziamento. Le novità della riforma in ogni caso non si applicano alla pubblica amministrazione e ad alcune categorie specifiche di rapporti lavorativi.
Dal momento che il nuovo sistema di tutele crescenti non gode di retroattività, le garanzie attuali in caso di licenziamento possono implicare due sviluppi differenti a seconda se si è stati assunti prima o dopo l’avvio del Jobs act.
Ecco tutte le informazioni di maggior rilievo sul contratto a tutele crescenti sancito dal Jobs act.
Jobs act: in che cosa consiste il contratto a tutele crescenti
Il contratto a tutele crescenti è una delle novità di maggior rilievo introdotte dal Jobs act. Le sue previsioni sono valide per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato stipulati dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore delle novità sancite del decreto legislativo 23/2015.
L’impostazione data dal Jobs act alle nuove assunzioni a tempo indeterminato impone infatti sgravi fiscali per i primi 3 anni di lavoro. Nell’ambito del contratto a tutele crescenti infatti per i datori di lavoro sarà possibile fare ricorso a consistenti incentivi.
L’idea di fondo quindi è quella di favorire le assunzioni a tempo indeterminato tramite le tutele crescenti garantendo alle aziende ricavi derivanti dalla decontribuzione. Lo sgravio offerto dalla riforma del Jobs act annulla i contributi da versare per 3 anni ad eccezione dell’INAIL.
Per il 2015 infatti, il primo anni di entrata in vigore del Jobs act, la riforma scaricava sullo Stato i costi della previdenza per tre anni dei neoassunti. Sempre all’interno dei primi 3 anni, le tutele crescenti garantivano incentivi per un totale di 24 mila euro a favore delle aziende che stipulavano contratti a tempo indeterminato, fondi che sono stati diminuiti nell’anno seguente.
Le tutele vengono definite crescenti perché il datore di lavoro dovrà ripagare il lavoratore licenziato ingiustamente con un’indennità economica che crescerà in misura proporzionale al periodo di assunzione. In parole povere, l’esborso aumenta con l’aumentare del tempo di lavoro nell’azienda.
Jobs act: a quali lavori si applica il contratto a tutele crescenti
Le novità apportate dalle tutele crescenti si applicano ai contratti a tempo indeterminato stipulati a partire dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del Jobs act. Vi rientrano anche le trasformazioni di contratti a tempo determinato e qualificazioni di ex-apprendisti.
Per tutti i rapporti di lavoro stipulati prima di quella data continuano a trovare applicazione le regole antecedenti la riforma. Per questo motivo si è parlato di un doppio binario: per alcuni lavoratori infatti vige attualmente una regolamentazione diversa rispetto ai propri colleghi.
Tale metafora dei binari paralleli viene spesso evocata in relazione alle tutele garantite dal vecchio articolo 18 che sono ancora valide per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del Jobs act.
Unica eccezione al divieto di azione retroattiva è quella relativa ai lavoratori di aziende che, dopo il 7 marzo 2015, abbiano superato i 15 dipendenti. Anche loro infatti rientreranno all’interno dei profili di tutela garantiti dalla legislazione post-Jobs act.
Non sono coinvolti inoltre dalla riforma del Jobs act dipendenti del pubblico, i lavoratori domestici e quelli in prova, sportivi e lavoratori in età pensionabile.
Jobs act: il nodo su licenziamenti e articolo 18
Uno dei nodi maggiormente controversi delle nuove tutele crescenti riguarda il tema dei licenziamenti. Le modifiche poste in essere da parte del Jobs act per articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) ha infatti dato più possibilità di manovra da parte dei datori di lavoro per sciogliere i rapporti a tempo indeterminato.
In particolare la riforma sulle tutele crescenti implica una diminuzione dei casi per i quali sussiste l’obbligo di reintegro da parte del datore di lavoro. In molte situazioni di licenziamento infatti non sarà più richiesto all’azienda di assumere nuovamente il dipendente precedentemente allontanato.
In caso di licenziamento ingiustificato infatti viene introdotta un’indennità da corrispondere all’ex-dipendente nella misura di 2 mesi per ogni anno di servizio. Il numero minimo di mensilità è di 4 e la durata massima prevista è di 24, ovvero 2 anni.
Rimane l’obbligo al reintegro anche con il contratto a tutele crescenti del Jobs act nei casi di licenziamenti discriminatori, nulli, intimati in forma orale e per alcuni licenziamenti disciplinari.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Jobs Act: considerazioni sul nuovo contratto a tutele crescenti