CNEL e Governo bocciano la proposta sul salario minimo, la priorità è supportare la contrattazione collettiva. Un minimo fissato per legge non risolverebbe la questione del lavoro povero e del dumping salariale. Le proposte del CNEL nel nuovo documento approvato e consegnato alla Presidenza del Consiglio
La proposta di un salario minimo orario stabilito per legge in Italia sembra destinata a non vedere la luce.
La priorità è quella di sviluppare la contrattazione collettiva. Lo sottolinea il CNEL, incaricato dal Governo di individuare osservazioni e proposte in materia di salario minimo in vista della prossima Legge di Bilancio.
La soluzione giusta alla questione del lavoro povero non è un minimo salariale fissato per legge. L’adeguatezza delle retribuzioni è da ricercare nella via tradizionale dei CCNL, affiancati da una normativa di sostegno specifica per potenziarla e a favore dei lavoratori dei settori meno tutelati.
Salario minimo, bocciata la proposta: la priorità è supportare la contrattazione collettiva
Dopo l’approvazione della seconda parte del documento con le osservazioni conclusive e le proposte in materia di salario minimo, l’Assemblea del CNEL del 12 ottobre 2023, ha approvato l’intero documento che è stato consegnato al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, concludendo così l’incarico affidato lo scorso agosto.
La priorità secondo il CNEL è quella di potenziare e sviluppare la contrattazione collettiva.
Una posizione che di fatto chiude le porte ad una possibile introduzione del salario minimo come soluzione che possa garantire a lavoratori e lavoratrici una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro e sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, come stabilito dall’articolo 36 della Costituzione.
Il piano d’azione indicato dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro è quello di supportare la contrattazione collettiva per arrivare alla definizione di trattamenti retributivi adeguati, correggendo al contempo le criticità legate ai CCNL come ad esempio i ritardi nei rinnovi contrattuali.
Il salario minimo, secondo il CNEL, costituisce solo una componente all’interno di un ragionamento più ampio e pertanto una sua mera introduzione:
“non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero né la pratica del dumping contrattuale né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva.”
Per contrastare la povertà, sottolineano anche esperti come il professor Neumark, intervistato da IlSole24Ore, una soluzione più efficace sarebbe l’introduzione di misure specifiche come l’assicurazione sanitaria pubblica gratuita, la scuola pubblica gratuita e programmi di welfare per le famiglie che non possono lavorare.
Anche se in apparenza non sembra così, anche il salario minimo ha un costo per i cittadini. Se per l’implementazione di misure di welfare e per il finanziamento di sussidi si aumentano le tasse, con il salario minimo crescono i costi a carico dei datori di lavoro, i quali molto spesso si troveranno nella posizione di dover aumentare i prezzi.
Come si legge nella nota di Palazzo Chigi la strada da seguire è appunto quella del potenziamento della contrattazione collettiva all’interno di un piano d’azione organico.
“Un salario minimo orario stabilito per legge non è lo strumento adatto a contrastare il lavoro povero e le basse retribuzioni. Come sottolineato dal CNEL, occorre piuttosto programmare e realizzare, nell’ambito di un piano di azione pluriennale, una serie di misure e interventi organici. È la strada che il Governo intende intraprendere nel minor tempo possibile.”
Le proposte del CNEL per favorire la contrattazione collettiva
Secondo il CNEL, dunque, l’adeguatezza delle retribuzioni è un principio che va sviluppato attraverso la contrattazione collettiva, tramite l’implementazione di un piano di azione nazionale che vede coinvolti Governo, Parlamento e organizzazioni datoriali e dei lavoratori.
“Il CNEL suggerisce di evitare che, nella determinazione della tariffa retributiva, la questione dei salari minimi adeguati entri a pieno titolo nel vortice della comunicazione politica, in chiave di acquisizione del consenso, perdendo poco alla volta la sua attendibilità rispetto a parametri di sostenibilità economica e sociale.
Da valorizzare è dunque la via tradizionale che è quella della contrattazione collettiva e cioè il contributo di quelle forze sociali che rappresentano, assumendosene la responsabilità, gli interessi della domanda e dell’offerta di lavoro.”
Dato che il lavoro povero riguarda principalmente lavoratori temporanei, parasubordinati, occasionali, stagisti e lavoratori con mansioni discontinue, che di fatto non sono coperti pienamente dalla contrattazione collettiva per quanto riguarda i trattamenti integrativi e le prestazioni di welfare, la proposta del Consiglio è quella di introdurre, tramite contrattazione, una tariffa parametrata sugli indicatori della direttiva europea o comunque interventi legislativi ad hoc con l’obiettivo di incrementare il numero di ore lavorate nell’arco dell’anno.
Interventi appositi, poi, servono in favore degli stagisti, per i quali il CNEL ricorda l’attuale vuoto legislativo e propone di ripristinare, ad esempio, il contratto di inserimento e di valorizzare l’apprendistato.
“Sul part time si potrebbero innestare misure legislative per razionalizzare gli interventi a sostegno dell’occupazione femminile e della conciliazione vita lavoro.”
Per contrastare il fenomeno dei contratti pirata, poi, si propone un intervento legislativo a sostegno della contrattazione collettiva di qualità, individuando i CCNL più diffusi per ogni settore di riferimento, condizionando la registrazione nell’archivio nazionale dei contratti.
Nell’ambito del lavoro domestico, inoltre, sottolinea il CNEL, l’introduzione di un salario minimo darebbe luogo, senza adeguate misure di sostegno alle famiglie e alle persone non autosufficienti, a un probabile drastico incremento del lavoro in nero.
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