Dalle principali criticità del sistema di riscossione italiano, con un focus sullo stato dell'arte, ai possibili spunti di efficientamento per intervenire sui meccanismi attualmente in vigore: un approfondimento sul tema.
Le criticità di sistema relative alla riscossione dei debiti fiscali sono sostanzialmente riconducibili a una generale frammentazione delle funzioni tipiche dell’Amministrazione fiscale tra più enti, con alcune sovrapposizioni di ruoli e responsabilità; all’accumulo dei debiti fiscali in mancanza di cancellazione delle posizioni non più riscuotibili; alla farraginosità del processo di riscossione, che si presenta eccessivamente macchinoso, imponendo azioni di recupero pressoché indistinte per tutti i carichi affidati all’Agente della riscossione, a prescindere dal loro importo e da una preliminare valutazione di solvibilità del debitore; tale impostazione non consente di modulare le attività di recupero sulla base di una strategia volta a massimizzare l’efficacia dell’azione di riscossione.
Nel “magazzino ruoli” possono essere riscontrate tutte queste criticità.
La riforma della riscossione coattiva: il magazzino ruoli
La specificità che emerge dal confronto del sistema della riscossione italiano con il panorama internazionale, è rappresentata soprattutto dalla complessiva situazione dei carichi residui (c.d.” magazzino ruoli”) affidati dagli enti creditori all’Agenzia delle Entrate-Riscossione per il recupero coattivo.
Alla data del 30 giugno 2020, il valore del carico contabile residuo, affidato dai diversi enti creditori all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000, ammontava a circa 987 miliardi.
Nel dettaglio:
- circa 405,3 miliardi, pari a circa il 41 per cento, è sostanzialmente irrecuperabile (falliti, deceduti, cessati, nullatenenti etc.).
- circa 440,3 miliardi, pari a circa il 45 per cento del residuo totale, sono riferiti a contribuenti nei confronti dei quali l’Agente della riscossione ha già svolto, in questi anni, azioni esecutive e/o cautelari che non hanno consentito il recupero integrale dell’attuale loro debito attuale.
- circa 50,2 miliardi, pari a circa il 5 per cento, sono sospesi per autotutela, esecuzione di sentenze, o derivanti da rottamazione ter o saldo stralcio etc.
- 16,9 miliardi di euro sono oggetto di rateizzazione in corso;
- 74 miliardi di euro, comprensivi anche di posizioni per le quali, in ragione di previsioni normative a tutela dei contribuenti – quali la soglia minima per l’iscrizione ipotecaria, l’impignorabilità della prima casa, i limiti di pignorabilità dei beni strumentali, nonché la limitazione alla pignorabilità di stipendi, salari e indennità relative al rapporto di lavoro e di impiego – sono inibite, o limitate, per l’Agente della riscossione le azioni di recupero.
In buona sostanza il recupero delle somme a ruolo risulta poco efficiente in quanto il magazzino è intasato da crediti ormai non più riscuotibili, ma presenti solo sulla carta (crediti ereditati dalle precedenti gestioni ante Equitalia SpA fin dal 2000).
La mancata cancellazione di tali debiti comporta l’impossibilità di realizzare i principi di efficienza, efficacia e buon andamento dell’azione dell’AdER, la quale è costretta, in ogni periodo d’imposta, ad attivarsi per la loro infruttuosa riscossione.
Ogni anno, infatti, sono affidati dagli enti creditori mediamente 29 milioni di singoli crediti da riscuotere, ricompresi in circa 16 milioni di cartelle di pagamento, avvisi di accertamento e avvisi di addebito.
Questi 29 milioni di singoli crediti, che ammontano in media a circa 80 miliardi di euro, sono relativi a più di 8 milioni di contribuenti.
In caso di mancato pagamento dei debiti l’attività di recupero, come detto, è operata sulla base di norme che impongono lo svolgimento di attività pressoché indistinte per tutte le tipologie di credito iscritte a ruolo anche di quelle che sostanzialmente non risultano più aggredibili.
L’Agente della riscossione non può quindi variare l’azione di recupero secondo principi di efficienza ed efficacia, condizionando così la possibilità di migliorare ulteriormente i risultati di riscossione.
Nel bilancio dello Stato l’“inesigibilità” di tali somme è evidenziata da una svalutazione del 96,6 per cento. Di conseguenza solo il 3,4 eper cento di tali crediti può ancora essere considerato come credito efficacemente aggredibile.
La inefficienza della procedura di discarico
È peraltro prevista (artt. 19 e 20 del D.lgs. 112/1999) una procedura apposita (cd. Procedura di discarico) per accertare i casi in cui non si debba più procedere alla riscossione.
Tale disposizione trovava giustificazione nella originaria natura privatistica dell’agente della riscossione (Equitalia Spa e precedenti gestori).
Attualmente, però, la riscossione viene gestita da un soggetto pubblico.
La procedura di controllo prevista dalla “comunicazione di inesigibilità” appare quindi estremamente farraginosa se si vogliono effettivamente realizzare i principi costituzionali del buon andamento, dell’efficienza, dell’efficacia, dell’imparzialità e della legalità dell’azione amministrativa.
Negli anni si sono del resto avute proroghe dei termini di presentazione delle comunicazioni di inesigibilità, intervenute sin dai primi anni 2000, che hanno determinato l’accumulo dei crediti nelle contabilità degli enti creditori e, per l’Agente della riscossione, un incremento della stratificazione del “magazzino” dei carichi da riscuotere con il conseguente onere, per mantenere il diritto alla “teorica” riscossione di crediti in buona parte già valutati non recuperabili, di proseguire tutte le attività idonee a interrompere i termini prescrizionali.
Le criticità del sistema riscossione su cui intervenire
Tanto premesso (seppure in estrema sintesi, vista la vastità del tema), volendo riassumere quelle che sono le principali criticità del sistema riscossione su cui intervenire, possiamo elencare innanzitutto le seguenti.
La dilatazione dei tempi per l’avvio dell’attività di riscossione.
In Italia per i crediti erariali, a partire dal 1° ottobre 2011, l’atto di accertamento emesso dall’Amministrazione finanziaria assolve generalmente anche alla funzione di titolo esecutivo.
La riscossione tramite ruolo è invece ancora prevista per i controlli automatizzati effettuati ai sensi dell’art. 36-bis del Dpr. n. 600/1973 e per i controlli formali previsti dall’art. 36-ter del medesimo Dpr.
Il sistema italiano, pur essendo, con l’introduzione dell’accertamento esecutivo per i principali tributi, normativamente allineato agli altri Paesi europei, si connota per tempi molto più dilatati fra l’emissione del titolo esecutivo (accertamento esecutivo o, per i tributi minori, ruolo) e l’inizio dell’attività di riscossione.
Ciò indubbiamente rappresenta un vulnus per l’efficacia dell’attività di riscossione , consentendo al contribuente disonesto di predisporre atti in grado di sottrarre beni alla riscossione coattiva.
Il problema non sta infatti nei termini concessi per l’adempimento spontaneo, ma nella reazione al mancato adempimento, e cioè nei termini entro i quali inizia l’attività di riscossione coattiva. Tali termini sono alquanto più brevi negli altri Paesi rispetto ai termini previsti in Italia.
Le dilazioni di pagamento
L’incremento esponenziale delle dilazioni di pagamento in ambito tributario, verificatosi negli ultimi anni, è venuto all’attenzione anche del Fondo Monetario Internazionale.
In particolare, il FMI ha evidenziato lo sbilanciamento a favore del contribuente della disciplina della dilazione di pagamento, rilevando non solo il carattere automatico con cui vengono concesse le dilazioni, ma anche, sotto un profilo più generale, la limitatezza del sindacato svolto dall’agente della riscossione rispetto ai piani di rateazione.
Lo stesso Fondo Monetario Internazionale dà conto, poi, delle best practice internazionali in materia di rateazioni.
Secondo tali best practices, quanto ai profili di ammissibilità, il piano di rateazione dovrebbe essere:
- i) realistico e realizzabile dal punto di vista finanziario, con apposita dimostrazione fornita dal contribuente;
- ii) accompagnato da un comportamento pregresso del contribuente che dimostri la sua generale compliance rispetto agli obblighi tributari.
Stringenti, poi, dovrebbero essere le condizioni per l’ammissibilità del piano di rateazione proposto, dovendosi richiedere:
- i) il versamento di tutte le sanzioni e gli interessi previsti dalla legge;
- ii) l’applicazione di un tasso di interesse sufficientemente elevato da compensare l’impossibilità per l’ente concedente la rateazione di disporre immediatamente delle somme dovute e tale da far sì che il contribuente adempia prioritariamente alle obbligazioni tributarie rispetto a quelle nei confronti di altri soggetti;
- iii) una differenziazione del periodo temporale massimo della rateazione tra le persone fisiche non imprenditori e i soggetti esercenti attività d’impresa, non eccedente i dodici mesi per le prime e i tre anni per i secondi;
- iv) il pagamento totale e tempestivo di tutte le obbligazioni tributarie sorte successivamente a quelle oggetto di rateazione;
- v) la prestazione di garanzie;
- vi) la decadenza dal piano di rateazione e l’applicazione delle procedure di riscossione coattiva in caso di insolvenza.
Rispetto a tali criteri, non v’è dubbio che la disciplina italiana non si mostri efficiente.
Quanto ai criteri di ammissibilità, lo scostamento risulta evidente solo che si pensi che, in base alla normativa italiana, per i debiti fino a cinquantamila Euro il contribuente – persona fisica non imprenditore o esercente impresa – può accedere al piano ordinario di rateazione fino a 72 rate mensili sulla base di una mera dichiarazione di temporanea situazione di obiettiva difficoltà economica, senza alcuna documentazione a supporto.
Anche per i debiti superiori a tale soglia, peraltro, si richiede l’allegazione di documentazione che comprovi la situazione di difficoltà, ma nessun sostegno probatorio viene richiesto in merito, tra l’altro, alla realizzabilità finanziaria del piano di rateazione proposto ed al comportamento pregresso del contribuente.
Dinanzi a tali scostamenti non stupisce, allora, che vi sia un tasso di abbandono dei piani di rateazione in essere di quasi un terzo e che molti contribuenti si limitino a versare solo la prima rata.
Le procedure esecutive
In Italia, in caso di inosservanza del termine stabilito per il pagamento delle maggiori imposte accertate il contribuente può subire l’espropriazione forzata.
Nello specifico, l’atto di accertamento è consegnato all’agente della riscossione decorsi 30 giorni dalla scadenza del termine di pagamento.
Trascorsi ulteriori 180 giorni dalla consegna dell’atto di accertamento all’agente della riscossione, questi può intraprendere l’espropriazione forzata.
Le procedure di espropriazione forzata variano in funzione dei beni oggetto di espropriazione:
- espropriazione immobiliare;
- espropriazione mobiliare;
- espropriazione di beni nella disponibilità di terzi (ad esempio, somme di denaro depositate presso una banca).
Le procedure di espropriazione iniziano con il pignoramento del bene da espropriare ad opera dell’agente della riscossione e proseguono con la vendita del bene e la distribuzione del ricavato all’agente della riscossione (nei limiti, evidentemente, dell’ammontare del credito da questi vantato).
Esistono però vari, specifici, limiti alla pignorabilità dei beni da parte dell’agente della riscossione.
Il pignoramento mobiliare non può essere effettuato ad esempio sul letto e sull’anello nuziale.
Il pignoramento immobiliare non può essere effettuato sulla prima casa (ad esclusione di quelle di lusso) e sugli immobili diversi dalla prima abitazione, se l’importo da riscuotere non è superiore a 120.000 euro.
Dall’analisi comparata internazionale emerge dunque che i tempi per l’inizio della procedura di esecuzione forzata sono ovunque più brevi che in Italia; in particolare nessun Paese conosce un sistema di moratoria (30 giorni per la consegna dell’atto esecutivo al concessionario della riscossione il quale può intraprendere l’esecuzione forzata dopo 180 giorni) assimilabile al nostro.
Degno di nota appare poi il fatto che soltanto nel Regno Unito, come in Italia, è prevista l’impignorabilità della casa di abitazione.
Misure di efficientamento riscossione
Di seguito, infine, solo alcuni brevi possibili spunti di efficientamento:
- Revisione del meccanismo del discarico per inesigibilità: decorsi cinque anni dall’affidamento, il carico non riscosso potrebbe essere discaricato automaticamente, senza oneri amministrativi di alcun genere per gli enti creditori. Al contempo potrebbero essere previste disposizioni per garantire maggiore efficienza nell’azione di riscossione (assicurare il tempestivo tentativo di notifica della cartella entro il nono mese successivo, criteri più efficaci nello svolgimento attività di recupero, criteri di controllo e verifica nell’atto aggiuntivo alla Convenzione con il Mef di AdE).
- Utilizzo banca dati fatturazione elettronica per azione di riscossione AdeR: le fatture elettroniche potrebbero essere utilizzate anche dall’agente della riscossione allo scopo di reperire le informazioni utili all’avvio, in modo mirato, di procedure presso terzi di contrasto alla cosiddetta evasione da riscossione
- Razionalizzazione istituto della rateizzazione: Si potrebbe elevare a 100.000 euro l’importo del debito iscritto a ruolo al di sopra del quale la dilazione può essere concessa previa documentazione, da parte del contribuente di una temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Aumentare da 5 a 10 il numero di rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dalla dilazione (ma se poi il debitore incorre nella decadenza il carico non dovrebbe poter essere nuovamente rateizzato).
- Estensione termine efficacia della cartella e avviso di intimazione dalla data della notifica: Allungare da uno a due anni la durata dell’efficacia della cartella di pagamento e dell’avviso di intimazione notificati dall’agente della riscossione
- Pignoramento giacenze debitore presso istituti di credito: Consentire il pignoramento della futura giacenza presso l’istituto di credito.
- Ipotizzare la possibilità di aggredire la “nuda proprietà” della casa di abitazione.
La riscossione non è una questione politica (o quanto meno non lo dovrebbe essere).
Dovrebbe solo rispondere a criteri di efficienza e celerità, anche e soprattutto a tutela di quella stragrande maggioranza di contribuenti che adempiono regolarmente ai propri obblighi tributari e che, giustamente, avrebbero diritto a conseguenti servizi pubblici, che, però, in mancanza di quelle centinaia di miliardi di risorse (debiti già definiti e incontestati, si ricopra), saranno difficilmente realizzabili.
È dunque forse anche inutile parlare di riforma fiscale, se prima, o quanto meno contestualmente, non si procede ad una revisione del sistema di riscossione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La riforma della riscossione coattiva