Operazioni soggettivamente inesistenti e detrazione IVA: è onere dell'Amministrazione dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si era iscritta in un'evasione o in una frode.
In caso di contestazione ai fini IVA per operazioni soggettivamente inesistenti non si tratta di accertare l’effettività delle operazioni e l’inerenza delle stesse all’attività commerciale svolta, ma piuttosto del fatto che quelle operazioni, certamente poste in essere e certamente inerenti, non provenivano però da un soggetto passivo ai fini Iva, stante la sua presenza meramente formale, ma da altro soggetto, effettivo fornitore.
Anche il riferimento al riconoscimento del diritto alla deduzione dei costi nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti è dunque inconferente, posto che, in tali casi, la questione attiene appunto al disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA.
La disciplina in tema di operazioni soggettivamente inesistenti differisce infatti nel caso in cui si tratti di contestazione ai fini imposte dirette o IVA.
Per quanto riguarda la detraibilità dell’IVA, che è, in linea di principio, esclusa quando l’imposta sia stata corrisposta ad un soggetto che, non avendo effettuato l’operazione, non è né legittimato ad addebitarla a titolo di rivalsa, né tenuto a versarla all’erario (Cass., 7 ottobre 2015, n. 20060; 30 ottobre 2018, n. 27555), la Cassazione rileva infatti che, poiché il diniego della detrazione integra un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA, che del diritto alla detrazione costituisce il fondamento, incombe, anzitutto, all’Amministrazione finanziaria provare che, pur a fronte della fattura emessa, difettano le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione.
E qualora l’Amministrazione assolva tale onere, grava dunque sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria.
Detrazione IVA e operazioni inesistenti: l’oggettiva fittizietà del fornitore
Quanto alla prova dell’oggettiva fittizietà del fornitore, tale accertamento può avvenire anche in via presuntiva, mediante la prova di elementi di fatto attinenti al cedente, quali, tra gli altri, la mancanza della sede, l’inesistenza di una struttura operativa adeguata, il mancato versamento dell’IVA (cfr., Cass., 9 settembre 2016, n. 17818; 18 maggio 2018, n. 12258).
Quanto invece alla prova dell’elemento soggettivo, come visto, l’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria va ancorato al fatto che l’acquirente del bene o del servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in una frode, tenuto anche conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare e afferenti alla sua sfera d’azione (cfr., Cass., n. 9851 del 2018).
E, in questa prospettiva, si inquadra anche l’orientamento secondo cui, nell’ipotesi di operazioni triangolari “semplici”, l’“onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera)” (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426; nello stesso senso, n. 20059 del 2014 e 21 aprile 2017, n. 10120).
Operazioni oggettivamente inesistenti e deducibilità dei costi
Per quanto riguarda invece la deducibilità dei costi risultanti dalle fatture ritenute relative a operazioni soggettivamente inesistenti, bisogna ricordare che la disciplina del “nuovo” comma 4-bis dell’art. 14 della legge n. 537 del 1993 comporta che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati, di regola (salvo, ad esempio, il caso in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento), non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato, ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati o utilizzati nel ciclo produttivo, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore, perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi alle dette operazioni.
Detto ciò, resta, tuttavia, sempre ferma, anche in tali casi, la necessità della verifica della concreta deducibilità degli stessi costi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass., 6 luglio 2018, n. 17788; 30 ottobre 2018, n. 27566).
Il caso interessante analizzato dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza 5576/2021
La Corte di Cassazione è intervenuta più volte su quali siano i presupposti di detraibilità IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti.
Nel caso dell’Ordinanza numero 5576/2021 e più volte segnalata anche da altri autori qui su Informazione Fiscale, ad esempio, la contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2007.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, mentre la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello dell’Agenzia, affermando che spetta all’Amministrazione finanziaria, che contesti l’inesistenza, anche soggettiva, delle operazioni fatturate, dimostrare, anche in via presuntiva, che il soggetto sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che la propria operazione partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una frode IVA, laddove, per la prova presuntiva, che ammette comunque prova contraria, potendo sempre il contribuente provare di non essere a conoscenza che la prestazione non fosse stata effettivamente resa dal fatturante, è sufficiente che quest’ultimo sia sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione.
E, nella specie, era incontestato, secondo i giudici di secondo grado, che le società con le quali la contribuente aveva intrattenuto rapporti fossero del tutto prive di strutture aziendali, che tra queste si annoveravano evasori totali, che non avevano mai presentato alcuna dichiarazione fiscale.
La società contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo che la Commissione Tributaria Regionale non aveva spiegato se la prova presuntiva e meramente indiziaria della frode offerta dall’Ufficio fosse dotata di quel sufficiente grado di gravità e precisione e concordanza, che ne avrebbe consentito l’utilizzo in sede di accertamento e la cui verifica poteva ingenerare l’inversione della prova a carico del contribuente.
Detrazione IVA e operazioni soggettivamente inesistenti: la decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione, che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo, ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione faceva parte di un’evasione o frode.
La dimostrazione, rileva la Cassazione, può essere del resto data, in tali casi, anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui aveva stipulato il contratto, il contribuente era stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti, per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (cfr., Cass., n. 5873 del 2019).
L’onere della prova ricade sull’Amministrazione finanziaria, la quale, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario.
Nel caso in cui l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava poi sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (cfr., Cass., n. 27566 del 2018).
In tema di detrazione dell’IVA correlata ad operazioni inesistenti, sottolinea la Corte, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), può essere peraltro fornita dall’Amministrazione anche mediante presunzioni – come espressamente prevede l’art. 54, comma 2, Dpr. 26 ottobre 1972, n. 633 - valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (cfr., Cass., n. 5339 del 2020 e Cass., n. 15369 del 2020).
Nella specie, pertanto, la CTR aveva fatto un uso corretto dei suddetti principi di diritto, in quanto, dopo aver rilevato che era incontestato che le società con le quali la contribuente aveva intrattenuto rapporti erano del tutto prive di strutture aziendali e che tra queste si annoveravano evasori totali non avendo esse mai presentato alcuna dichiarazione fiscale, aveva ragionevolmente ritenuto che l’Ufficio avesse addotto elementi e circostanze così rilevanti da “invertire” a quel punto sul contribuente l’onere della prova dell’effettività dell’operazione e della non consapevolezza dell’esistenza di una operazione diretta ad evadere il pagamento dell’IVA.
E, altrettanto ragionevolmente, aveva poi ritenuto che le sole circostanze dell’effettiva recezione della merce e del pagamento delle stesse (senza che il ricorrente avesse neppure provato che il pagamento fosse avvenuto al prezzo effettivo di mercato) non fossero sufficienti a ritenere assolta, da parte del contribuente, la prova di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza “massima” (grado di diligenza espressamente richiesto dalla giurisprudenza di legittimità) esigibile da un operatore accorto.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Detrazione IVA e operazioni soggettivamente inesistenti: alcune osservazioni