Il Tribunale di Nola si è espresso in tema di concordato minore. La procedura destinata agli imprenditori sovraindebitati può essere negata soltanto in caso di assoluta e manifesta non fattibilità del piano
Il Tribunale di Nola, con un Decreto di ottobre 2023, si è espresso in tema di concordato minore, evidenziando che l’omologa può essere in questi casi negata solo in presenza di una manifesta non fattibilità del piano.
Nel caso di specie, era stata richiesta al Tribunale l’apertura della procedura di concordato minore ex artt 74 e ss. CCII, disponendo la comunicazione, a cura dell’OCC (Organismo di composizione della Crisi), a tutti i creditori della proposta e del decreto.
A fronte di una esposizione debitoria complessiva pari ad euro 124.897 (e di un patrimonio prontamente liquidabile del valore complessivo di 85.600) era stato proposto un piano di ristrutturazione che garantiva la messa a disposizione dei debitori di un importo complessivamente pari a 100.000 euro circa (importo poi modificato in 110.000 euro all’esito della precisazione del credito trasmessa dall’Agenzia delle Entrate, a fronte di un debito complessivo, come rideterminato, di 166.924 euro), derivante dal reddito dei ricorrenti (pensione di invalidità e di vecchiaia), detratto quanto necessario al sostentamento mensile, nonché dall’apporto di finanza esterna da parte di terzi.
Margini di controllo sulla fattibilità del concordato minore: il caso di specie
Quanto alle soglie di soddisfacimento per le differenti classi di creditori, la proposta prevedeva, in un primo tempo:
- 100 per cento per creditori prededucibili;
- 93 per cento per creditore ipotecario;
- 50 per cento per creditori muniti di privilegio generale;
- 10 per cento per creditori chirografari, per natura e degradati.
A seguito della integrazione post precisazione credito Agenzia Entrate, le soglie venivano modificate come segue:
- 100 per cento per creditori prededucibili;
- 96,5 per cento per creditore creditore ipotecario;
- 32,5 per cento per creditori muniti di privilegio generale;
- 20 per cento per creditori chirografari degradati per incapienza;
- 10 per cento per creditori chirografari per natura.
Il giudice designato dichiarava aperta la procedura di concordato minore, assegnando ai creditori un termine non superiore a trenta giorni per far pervenire la dichiarazione di adesione o di mancata adesione alla proposta di concordato e le eventuali contestazioni.
Tenuto conto quindi della mancanza di opposizioni o contestazioni da parte dei creditori, secondo il detto giudice, il concordato minore poteva essere omologato.
Rilevava infatti innanzitutto il giudice che la proposta soddisfaceva tutti i requisiti di ammissibilità previsti dall’art. 74 e ss CCII e questo nonostante che la stessa non fosse funzionale alla prosecuzione dell’attività professionale ed imprenditoriale, prevedendo comunque apporto di risorse esterne che aumentavano in via apprezzabile la convenienza.
Quanto poi alla fattibilità della proposta, il giudice evidenziava che, posto che la valutazione sul merito competeva ai creditori, anche con riferimento alla concreta prospettiva di adempimento dell’impegno assunto dagli istanti e dai terzi, doveva ritenersi che l’omologa potesse essere negata solo in presenza di una assoluta e manifesta non fattibilità del piano stesso.
Cosa che non sussisteva nella specie.
In ogni caso, concludeva il giudice, agli OCC restavano riservate le ulteriori funzioni di cui all’art. 81 CCII e in particolare quella di vigilare sull’esatto adempimento del concordato.
Margini di controllo sulla fattibilità del concordato minore: il parere del Tribunale di Nola
Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali giova anche evidenziare quanto segue.
Il codice della crisi offre strumenti diversi per situazioni diverse, quali il concordato minore per l’imprenditore sovraindebitato, la ristrutturazione del debito per il consumatore e infine la liquidazione controllata, applicabile a tutte le situazioni debitorie, indipendentemente dalla loro origine, garantendo così al debitore, in tutti i casi, la possibilità di una seconda chance.
Ma ogni procedura ha dei suoi specifici presupposti di ammissibilità.
In un tale scenario, anche il concordato minore, come visto, presuppone la “fattibilità” del relativo piano, consistente nella possibilità che la proposta possa ragionevolmente essere attuata, anche in termini economici.
Ciò significa che le previsioni del piano devono essere in grado di consentire, anche quanto ai termini anche temporali, il raggiungimento delle percentuali promesse.
Certo, definire il concetto di “fattibilità” non è agevole.
Nel silenzio della legge, il significato può essere comunque in sintesi individuato nella concreta possibilità di realizzazione delle proposte economiche contenute nel piano, nel senso, quanto meno, di verosimiglianza delle stesse secondo la comune esperienza (cfr., Cass. SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521 e Cass. 7 aprile 2017, n. 9061).
Il Tribunale può quindi sempre giudicare la fattibilità economica secondo il suo prudente apprezzamento, differenziando, come fatto anche nella pronuncia in commento, tra ammissibilità giuridica e fattibilità economica.
Su tale secondo aspetto, tuttavia, come visto, tale eventuale (in)fattibilità deve essere anche manifesta.
In relazione alla fattibilità economica, il giudice è pertanto tenuto a verificare la sussistenza o meno di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obbiettivi prefissati.
In sostanza, la “fattibilità giuridica” deve essere intesa come compatibilità del piano con le norme inderogabili della fattispecie legale, mentre la “fattibilità economica” deve essere intesa come realizzabilità concreta del piano.
È chiaro comunque che, in tal senso, potranno essere effettuate solo delle valutazioni prognostiche, che comportano, dunque, necessariamente, un margine di rischio, che varia da caso a caso e da proposta a proposta.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Margini di controllo sulla fattibilità del concordato minore