Saldo cassa negativo e ricavi “in nero”

Gianfranco Antico - Bilancio e principi contabili

Cosa succede nel caso di controlli fiscali che accertino che il saldo cassa dell'azienda è in negativo?

Saldo cassa negativo e ricavi “in nero”

Uno dei conti da controllare sempre nella contabilità aziendale è quello della cassa contanti, che non può mai chiudere in negativo ,(non ha senso col segno meno).

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 25676/2024 fissa le regole in ordine alle ipotesi di saldo negativo di cassa, riscontrato dai verificatori fiscali.

Analizziamo, quindi, l’intervento, che si pone sulla scia di una serie di precedenti.

Saldo cassa negativo e ricavi “in nero”

Con avviso di accertamento notificato ad una S.r.l., l’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2006 recuperava a tassazione maggiori ricavi per 176.384,76 euro e minori costi per 81.500 euro.

In particolare l’Amministrazione procedeva alla quantificazione dei ricavi in via induttiva contestando la sussistenza di conti cassa in negativo, rilevando numerosi apporti di cassa effettuati in contanti dal legale rappresentante della società e ipotizzando la falsa apparenza di una informale capitalizzazione giustificata in contabilità quale apporto del socio o quale finanziamento infruttifero.

La società impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale competente, che confermava il rilievo. Pronuncia ribaltata in CTR.

Da qui il ricorso delle Entrate in Cassazione, criticando la sentenza impugnata perché, pur in presenza di incontroversi saldi di cassa negativi, ha affermato che “l’esame delle movimentazioni finanziarie da sole non prova l’emersione di fatti economici occulti se tale passaggio non viene dimostrato e provato” e ha escluso che si potesse ipotizzare “senza alcuna prova che vi fossero stati ricavi in nero, ricavi che dalla documentazione agli atti e dalle evidenze contabili non si riscontrano”.

Il pensiero degli Ermellini

Per gli Ermellini il motivo di ricorso è fondato, atteso che la motivazione, privando di rilievo la acclarata sussistenza di saldi di cassa negativi e attribuendo all’Ufficio un onere probatorio ulteriore, viola il principio di diritto più volte affermato secondo il quale:

“in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed IVA, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura pari almeno al disavanzo. (Fattispecie relativa ad impresa individuale in cui la S.C. ha fatto riferimento al principio ragioneristico, di portata generale, per il quale la chiusura in rosso di un conto di cassa significa che le voci di spesa sono entità superiore agli introiti) (Cass. n. 7538/2020).”

Si consideri, ulteriormente, che:

“in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass. n. 2928/2024).”

Contanti e denaro in cassa: le conseguenze fiscali in caso di accertamento di saldo negativo

La presenza di una cassa in rosso accende una naturale spia nei verificatori, non essendo possibile che dal conto cassa sia uscito più denaro di quanto ne sia entrato. Al più il saldo può essere in parità.

Inoltre, il controllo della cassa effettuato al momento dell’accesso, confrontando il denaro e gli altri valori giacenti in cassa con gli scontrini emessi (attraverso il cd. presidio di cassa), possono far emergere sensibili discordanze fra ricavi contabilizzati in determinati periodi.

È quindi legittimo presumere che il saldo negativo sia stato determinato dalla mancata contabilizzazione di ricavi, cosa peraltro non infrequente nelle attività rivolte nei confronti di consumatori finali, frutto di un circolo vizioso dove la cassa è svuotata magari da pagamenti in contanti delle forniture fatturate, ma non è parimenti ed in maniera adeguata alimentata dagli incassi in nero.

La Suprema Corte di Cassazione più volte, nel corso di questi anni, ha avuto modo di far sentire la sua voce. Evidenziamo qui di seguito le pronunce più recenti.

Cass. sent. n. 22698/2019 Se il saldo di cassa è negativo, e sono effettuati pagamenti, deve desumersene che: o i pagamenti sono stati effettuati mediante redditi conseguiti ma non contabilizzati, oppure ci troviamo in presenza di un errore contabile. In ogni caso, in presenza di un’anomalia di così rilevante entità, risultando spesi soldi che però non erano registrati come presenti nella contabilità della cassa, deve ritenersi sussistano gli elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che consentono all’Amministrazione finanziaria di ricorrere all’accertamento induttivo, e ne consegue l’inversione dell’onere della prova, il quale deve essere pertanto posto a carico del contribuente. L’ipotesi dell’errore contabile è stata vagliata dalla CTR che ha esaminato le deduzioni sul punto proposte dagli impugnanti, i quali hanno affermato di avere incontrato “difficoltà” nel contabilizzare i finanziamenti assicurati dai soci per eliminare il disavanzo di cassa della società, e le ha ritenute inattendibili. La CTR ha sottolineato che i ricorrenti non sono stati in grado di indicare neppure in che cosa siano consistite queste difficoltà.
Cass. ord. n.7634/2021 Una chiusura di cassa con segno negativo oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, assurge, secondo la trama argomentativa della sentenza d’appello, a presunzione di omessa contabilizzazione di guadagni. Nel caso di specie, non si ravvisano “dati fattuali o circostanziali specifici che possano dirsi obliterati”. Invero, il contribuente insiste, in altri termini, sulla mera questione della commissione, da parte sua, di un non meglio precisato errore contabile, e quindi su una incongruenza che non contestualizza nè circostanzia sul piano fattuale e cronologico, limitandosi ad ammettere per sommi capi “sconfinamenti durati soltanto alcuni giorni”.
Cass. ord. n.29141/2021 Il saldo negativo di cassa e l’irregolare annotazione sul libro giornale (non negata dal ricorrente, allorché nel ricorso afferma “se è vero che gli incassi sono stati registrati nel mastrino del conto cassa solo il giorno finale di ciascun mese”) costituiscono formali e sostanziali difformità contabili, dovendosi pertanto giudicare infondata l’affermazione secondo cui “i presupposti richiesti dalla disposizione in esame per procedere alla rettifica del reddito risultano insussistenti”.
Cass. ord. n. 39053/2021 In tema in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo, fermo restando per il contribuente la possibilità di provare l’erronea contabilizzazione dei saldi di cassa, pur nella inesattezza del metodo di registrazione contabile, considerando che si trattava di una mera irregolarità registratasi soltanto nei primi due mesi dell’anno, senza riflessi pregiudizievoli sulla successiva tenuta della contabilità.

La Corte di Cassazione, in apertura, prende atto che, in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, la sussistenza di un saldo negativo di cassa consente di presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati. Ad esplicazione di tale principio, la stessa dottrina ragionieristica e, con essa, la giurisprudenza di legittimità hanno confermato che ciò, senza alcuna forzatura logica, legittima la presunzione di ricavi, non contabilizzati, in misura almeno pari al disavanzo.

“Si deve conseguentemente ritenere che una chiusura di cassa con segno negativo oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di un’attività (almeno) equivalente al disavanzo.”

Né il principio è destinato a mutare in relazione alla registrazione infrannuale dei saldi negativi di cassa, come nel caso in cui il disavanzo sia stato constatato alla scadenza di uno o più mesi dell’anno contabile, “essendo comune la ratio di far emergere l’esistenza e consentire la tassazione di ricavi non contabilizzati, di cui si presume il conseguimento in misura corrispondente alle poste negative”.

Nel caso di specie, per gli Ermellini:

“il giudice di appello ha motivato in modo congruo ed adeguato in ordine al superamento di tale presunzione, avendo dato atto che il contribuente aveva prodotto documentazione comprovante l’erronea contabilizzazione dei saldi di cassa per i primi due mesi dell’anno di riferimento, laddove già nel mese di marzo il conto era tornato in equilibrio con un saldo positivo che si era protratto in tutti i restanti mesi. Pertanto, la giustificazione addotta dal contribuente - per cui si era trattato di una registrazione per dati aggregati, che aveva trovato il proprio compimento nel trimestre di riferimento - era apparsa plausibile, pur nella inesattezza del metodo di registrazione contabile, considerando che si trattava di una mera irregolarità registratasi soltanto nei primi due mesi dell’anno senza riflessi pregiudizievoli sulla successiva tenuta della contabilità.”

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