Un approfondimento su ne bis in idem e cumulabilità della sanzione penale e tributaria, partendo dall'analisi di un caso pratico
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 23122 del 2024, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di ne bis in idem e cumulabilità sanzione penale e tributaria.
Nel caso di specie erano stati notificati ad una società avvisi d’accertamento il cui comune denominatore era la contestazione, ai fini IVA, della partecipazione ad una pluralità di operazioni inesistenti e la carenza di inerenza di costi ai fini delle II.DD, con pagamento di maggior imposte per circa euro 3.500.000,00 e sanzioni per circa 12.000.000,00 di euro.
Ne bis in idem e cumulo sanzione penale e tributaria: la vicenda alla base dell’approfondimento
Per tali fatti il legale rappresentante della società aveva anche subìto un processo penale, definitosi con patteggiamento della pena e riduzione degli importi, già sottoposti a sequestro preventivo, confiscati per equivalente.
La società, che contestava l’addebitato coinvolgimento nella catena fraudolenta di cessione della merce e l’applicazione di sanzioni così gravi da violare il principio del ne bis in idem in rapporto alla sanzione penale già inflitta al legale rappresentante, adiva la Commissione Tributaria Provinciale, che rigettava il ricorso (fatta eccezione per una parte dell’Iva, ritenuta già compresa nell’importo confiscato con la sentenza di patteggiamento).
La Commissione Tributaria Regionale confermava poi le statuizioni del giudice di primo grado, ritenendo corretto il percorso argomentativo.
La società proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione dell’art. 4, § 1 del Protocollo n. 7 CEDU, dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali e dell’art. 51 TFEU.
Secondo la ricorrente, infatti, la decisione aveva violato il principio del divieto del bis in idem, non avendo tenuto conto che la comminazione di sanzioni prossime all’importo di 12.000.000,00 euro aveva comunque natura afflittiva, pari ad una condanna penale, per la quale era già intervenuta l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per i medesimi fatti, nei confronti del legale rappresentante della medesima società.
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, nel caso in esame, anche a volerne riconoscere la natura sostanzialmente penale delle sanzioni tributarie inflitte, mancava comunque l’identità del soggetto nei cui confronti erano indirizzate le due sanzioni.
Era infatti indubbiamente priva di pregio, secondo la Corte, la prospettazione difensiva della ricorrente, laddove perorava una “unità dell’interesse giuridicamente tutelato”.
La Cassazione evidenzia come, ai fini di specie, può affermarsi che i confini del ne bis in idem sono segnati dalla “identità del fatto”. Sebbene questo vada sostanzialmente ricondotto alla identità della condotta, ancorché non sia pacifico se essa esaurisca o meno la nozione di fatto, autorevoli interpretazioni identificano comunque la condotta in senso di identità naturalistica o materiale del fatto storico.
Premesso che il presupposto del divieto del bis in idem è la “natura penale” della sanzione amministrativa tributaria, tale natura, ricorda la Corte, è stata riconosciuta:
- nella natura dell’illecito;
- nel grado di severità della sanzione (Causa Engel e altri / Paesi Bassi, Corte EDU sentenza 8 giugno 1976; Causa C-489/2010, Corte di Giustizia, sentenza “L. M. Bonda” 5 giugno 2012), dovendosi concludere nel senso che le parole “assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva” non sono solo riferibili alle sentenze emesse in procedimenti qualificati come “penali” dall’ordinamento interno, ma a tutti i provvedimenti che irrogano sanzioni di carattere punitivo per il medesimo fatto storico, comprese dunque le sanzioni pecuniarie comminate dalla Amministrazione finanziaria unitamente al recupero dei tributi evasi.
Rapporto tra processo penale e tributario
I giudici evidenziano comunque come l’art. 20 del Dlgs 74/2000 ha affermato il principio di autonomia dei due processi (penale e tributario), avendo scelto il Legislatore la regola del “doppio binario” procedimentale , con esclusione della sospensione del processo tributario in pendenza di quello penale (mancata sospensione che resta anche dopo le recenti modifiche normative in ordine alla valenza del giudicato penale nel processo tributario).
La Corte EDU, già con la sentenza nella causa Grande Stevens e altri/Italia, cit., ha comunque valorizzato non gli elementi costitutivi dei due illeciti (che possono essere o meno identici), ma i fatti storici contestati e, in particolare, se siano riconducibili alla stessa condotta.
Anche la CGUE, con la sentenza Fransson (C-617/10 EU, 26 febbraio 2013) ha affermato poi che il divieto del ne bis in idem non impedisce la comminazione di una sanzione tributaria successivamente a quella penale, purché essa non abbia a sua volta un concreto contenuto che ne qualifichi la natura come penale.
E, a tal fine, è il giudice che deve verificarne la vera natura caso per caso. In linea con la giurisprudenza EDU la Corte Costituzionale (C. Cost., 31 maggio 2016, n. 200) ha peraltro precisato che deve verificarsi la sovrapponibilità di tutti gli elementi costitutivi del fatto, ossia condotta, evento e nesso causale (cfr., Cass., 13 ottobre 2016, n. 20675).
In questo contesto, infine, sono intervenute le due sentenze della Corte EDU (Grande Camera) la A. e B. / Norvegia del 15 novembre 2016 e la J. E J. / Islanda del 18 maggio 2017, che hanno parzialmente modificato le regole identificative del divieto del bis in idem.
Secondo questa nuova ricostruzione, ferma la natura penalistica da riconoscersi in concreto alla sanzione fiscale afflittiva, e ferma la nozione naturalistica dell’idem factum, si è sostenuto che non vi è violazione del principio qualora il sistema punitivo produca una sanzione che risponda al requisito della proporzionalità e della preventiva conoscibilità da parte dei contribuenti.
A tal fine, si è affermato, è necessario pertanto apprezzare se i due procedimenti perseguano finalità diverse nella politica di lotta all’illecito, se vi sia stata collaborazione tra gli organi inquirenti in ogni fase dei due procedimenti, con stretta connessione dei due giudizi finali così che la seconda sanzione tenga conto della pena già inflitta con la prima decisione, se il principio di proporzionalità e prevedibilità sia stato rispettato nella sanzione complessivamente inflitta, e se i fatti sanzionati penalmente implichino una condotta fraudolenta.
La nuova prospettiva di interpretazione e configurabilità del divieto del bis in idem ha dunque ristretto l’area del principio, escludendone l’operabilità quando i procedimenti siano avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto.
Di qui l’affermazione della Corte Costituzionale, che ha evidenziato che per effetto di tale sentenza si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro, alla facoltà di coordinarli nel tempo e nell’oggetto, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva.
Entro questi limiti la Corte di Giustizia ha dunque riconosciuto la possibilità di cumulo, secondo valutazioni da espletare caso per caso, negandola, per esempiio, con pronunce, emesse il 20.03.2018, in due ipotesi relative a casi di market abuse (causa C-537/2015, Garlsson, Ricucci, Magiste International; causa C-596/2016, Di Puma e Zecca), e riconoscendola, al contrario, in ipotesi relative a illeciti tributari (causa C-524/2015, Menci).
Tanto premesso in ordine all’evoluzione giurisprudenziale della fattispecie e proprio in applicazione dei detti principi (e anche a non voler considerare la già detta questione della non identità dei soggetti giuridici attinti dalle due sanzioni – amministrativa, quella indirizzata alla società, e penale, quella patteggiata dal rappresentante legale), secondo la Cassazione, non emergevano nel caso in esame elementi dai quali desumere che le sanzioni applicate alla società si traducessero, in concreto, nella violazione al divieto del bis in idem.
Ne bis in idem e cumulo sanzione penale e tributaria: alcune precisazioni
In conclusione e a prescindere dallo specifico caso processuale giova comunque evidenziare che, in caso di sanzioni di carattere amministrativo e di carattere penale per gli stessi fatti, le sanzioni tributarie sono legittimamente imposte a una persona giuridica e legittimamente il procedimento penale viene promosso nei confronti di una persona fisica sebbene quest’ultima sia il rappresentante legale dell’altra.
Non si può parlare infatti di doppia pena o di doppio procedimento a carico della stessa persona, dato che la sanzione tributaria imposta a una società non è paragonabile all’avvio di un procedimento penale nei confronti del suo rappresentante legale, pur trattandosi, in entrambi i casi, del medesimo fatto (cfr., Cassazione 28/08/2024, n. 33213).
Tale principio ha peraltro trovato conferma anche nella giurisprudenza comunitaria, atteso che anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea non ritiene applicabile il principio del ne bis in idem nel caso in cui, per il medesimo fatto, le sanzioni tributarie colpiscano la persona giuridica e le sanzioni penali riguardino il suo legale rappresentante (CGUE, 5 aprile 2017, cause riunite C-217/15 e C-350/15).
Certamente, bisogna comunque ora tenere conto anche di quanto disposto dal Dlgs 87/24, che, in attuazione dell’art. 20 della Legge delega n. 111/2023, che disponeva la necessità di razionalizzazione del sistema sanzionatorio, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, tributaria e penale, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem ha apportato modifiche al Dlgs n. 74/2000 con il nuovo art. 21-ter, prevedendo che il giudice o l’ufficio, nel determinare le sanzioni, devono tenere conto di quelle già irrogate con provvedimenti o sentenze assunti in via definitiva, per ridurne la relativa misura.
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