La riforma del terzo settore, seppur ancora incompleta in molti suoi punti, ha portato chiarezza sulla possibilità di individuare gli enti che svolgono attività con finalità assistenziale. Un focus sul tema.
Gli enti che svolgono attività definibile come avente finalità assistenziale prima della riforma del terzo settore erano di dubbia individuazione, difatti molto spesso il procedimento di determinazione dell’appartenenza o meno di tali enti alla categoria citata era eccessivamente influenzato dai soggetti coinvolti in tale analisi.
Non era difatti presente un elenco o una normativa specifica di riferimento, per questo non era possibile determinare in maniera puntuale quali enti potevano rientrare in tale categoria e quali no.
Enti con fini assistenziali: prima della riforma
Dopo una prima analisi potrebbe sembrare una banalità, ma grazie alla specifica inserita dal legislatore all’interno del d. lgs. 117/2017, molte situazioni in ombra sono state rese chiare.
Difatti prima dell’avvento della riforma, per poter classificare un ente come “avente finalità di tipo assistenziale” era necessaria un’attenta analisi dello statuto dello stesso e della tipologia di attività esercitata al fine di poter determinare se poteva essere considerata come tale.
La specifica nel codice del terzo settore: attività assistenziali
Il codice del terzo settore all’art. 5 prevede tra le attività di interesse generale esercitabili alla lettera c) le “prestazioni socio-sanitarie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001, e successive modificazioni”.
Questo passaggio diventa quindi di fondamentale importanza per gli enti intenzionati ad essere classificati come “aventi finalità assistenziali” in quanto dal momento di emanazione del nuovo codice dovranno esercitare una delle attività previste dal D.P.C.M 14 febbraio 2001, al fine di poter essere in tal modo definiti.
Nel dettaglio, le attività previste dal D.P.C.M 14 febbraio 2001 all’art. 2, sono:
- L’assistenza socio-sanitaria viene prestata alle persone che presentano bisogni di salute che richiedono prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale, anche di lungo periodo, sulla base di progetti personalizzati redatti sulla scorta di valutazioni multidimensionali. Le regioni disciplinano le modalità ed i criteri di definizione dei progetti assistenziali personalizzati;
- Le prestazioni socio-sanitarie di cui all’art. 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche e integrazioni sono definite tenendo conto dei seguenti criteri: la natura del bisogno, la complessità e l’intensità dell’intervento assistenziale, nonché la sua durata. Ai fini della determinazione della natura del bisogno si tiene conto degli aspetti inerenti a:
- funzioni psicofisiche;
- natura delle attività del soggetto e relative limitazioni;
- modalità di partecipazione alla vita sociale;
- fattori di contesto ambientale e familiare che incidono nella risposta al bisogno e nel suo superamento.
Gli elementi sono analizzati in maniera più approfondita negli articoli seguenti del D.P.C.M 14 febbraio 2001.
Tale assunto è stato affrontato marginalmente, e confermato nella risposta n. 475/2021 dell’Agenzia delle Entrate, ove si esponeva la problematica in merito all’impossibilità di ottenere l’esenzione IVA per una fondazione in procinto di ottenere la qualifica di impresa sociale ma avente finalità assistenziali.
Per tale fondazione, l’ottenimento della qualifica di impresa sociale la escludeva dalla possibilità di beneficiare dell’esenzione IVA, mentre invece un altro ente avente finalità assistenziale rientra nella casistica di esenzione prevista dall’art. 10 primo comma, ai numeri 15, 19, 20 e 27 ter del DPR n. 633 del 1972, ove la parola Onlus è stata sostituita dalle seguenti “enti del Terzo settore di natura non commerciale”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Enti con fini assistenziali: la procedura di classificazione nel terzo settore