I documenti non consegnati all'Agenzia delle Entrate possono essere utilizzati in sede di giudizio. Questo è quanto disposto dall'Ordinanza della Corte di Cassazione n. 32117 del 12 dicembre 2018.
Se il questionario inviato dall’Agenzia delle Entrate non contiene l’indicazione specifica dei dati e dei documenti di cui chiede l’esibizione e l’espresso richiamo dell’impossibilità di successivo deposito nella eventuale fase contenziosa in caso di mancata risposta, il contribuente può legittimamente produrre documenti nuovi, che il giudice è tenuto a considerare nell’eventuale fase processuale.
Sono queste le importanti conclusioni contenute nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 32117 pubblicata il 12 dicembre 2018.
- Corte di Cassazione - Ordinanza n. 32117 del 12 dicembre 2018
- Utilizzabili in giudizio i documenti non consegnati all’Agenzia delle Entrate
I fatti – La controversia ha avuto origine dal ricorso avverso due avvisi di accertamento relativi alla maggiore imposta IRPEF notificati a un contribuente, al quale l’Agenzia delle entrate aveva in precedenza inviato un questionario a cui non era stato dato seguito.
La CTR, in riforma della decisione di primo grado, aveva confermato la legittimità degli atti impositivi in quanto il contribuente, non avendo risposto al questionario inviatogli dall’Amministrazione nella fase amministrativa, era decaduto anche in sede processuale dalla facoltà di allegare nuovi fatti e nuovi documenti. A parere del giudice d’appello, infatti, la decadenza era conseguente al fatto obiettivo della mancata risposta e, per l’effetto, l’opposizione da parte del contribuente si limitava ad asserzioni non provate che sono state respinte.
Il contribuente ha impugnato davanti alla Corte di Cassazione la sentenza della Commissione Tributaria Regionale lamentando, quale motivo principale di ricorso, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.P.R. 600 del 1973.
A parere del ricorrente i giudici d’appello sarebbero incorsi in errore riguardo al fatto di essersi astenuti dal valutare le deduzioni e le produzioni della contribuente che dimostravano l’infondatezza della pretesa erariale, ritenendola invece automaticamente fondata.
La Corte di Cassazione ha deciso per la fondatezza del motivo di ricorso e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
La decisione – Nell’ambito dei poteri istruttori previsti dall’art. 32 del D.P.R. 600/1973, l’Agenzia delle Entrate delle entrate può, in forza del disposto di cui al co. 1 n. 4), “inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di altri contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti, con invito a restituirli compilati e firmati”.
Il successivo co. 4 dell’art. 32 stabilisce inoltre che, nell’ipotesi in cui il contribuente non ottemperi alla richiesta dell’Ufficio finanziario, “le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi … non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.”
Nel caso di specie il contribuente non aveva dato seguito al questionario inviato dall’Ufficio in fase amministrativa e ciò aveva indotto l’Amministrazione finanziaria a procedere all’emissione degli avvisi di accertamento.
Inoltre, in fase processuale, il giudice d’appello aveva dichiarato che il comportamento del contribuente avesse portato alla decadenza dalla facoltà di allegare fatti e documenti nuovi. Per effetto di tale decisione i giudici non avevano tenuto conto delle deduzioni e della documentazione prodotte dal contribuente che dimostravano l’infondatezza della pretesa erariale.
A parere dei giudici di legittimità ha ragione il contribuente quando lamenta violazione delle disposizioni contenute nel citato art. 32, co. 4 del D.P.R. 600/1973 sulla base dell’assunto, oramai consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, per cui “la preclusione processuale a produrre documenti scatta solo ove l’Amministrazione abbia inviato il questionario al contribuente contenente l’indicazione specifica dei documenti ritenuti rilevanti e di cui si chiede l’esibizione con l’espresso avvertimento che, in caso di mancata o insufficiente risposta, opera la preclusione processuale dell’impossibilità di successivo deposito nella eventuale fase contenziosa.”
Da tale principio si deduce che, se il contribuente non risponde ad un questionario, non può automaticamente scattare la preclusione a fornire documenti nuovi in fase processuale perché deve sempre essere riscontrata l’idoneità del questionario a produrre tale pregiudizio.
Concludono i giudici di legittimità che solo tale lettura della norma rende il meccanismo “compatibile con le garanzie del diritto di difesa costituzionalmente previste”.
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