La Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia in relazione al reddito di cittadinanza. La normativa che lo disciplina, in particolare il requisito di residenza di 10 anni, non sarebbe in linea con il diritto dell'UE in materia di libera circolazione dei lavoratori e diritti dei cittadini
Il reddito di cittadinanza non è in linea con il diritto dell’Unione Europea in materia di libera circolazione dei lavoratori.
Questa la posizione della Commissione UE, come si legge nel pacchetto delle principali decisioni sui casi di infrazione nei paesi dell’Unione pubblicato il 15 febbraio 2023.
La Commissione ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia perché la disciplina del sussidio economico, DL n. 4/2019, discrimina i cittadini stranieri per via del requisito di residenza di 10 anni, di cui 2 consecutivi, necessario per poter presentare la domanda.
Questa formulazione va contro alcune direttive UE per cui le prestazioni di sicurezza sociale, come appunto il reddito di cittadinanza, dovrebbero essere accessibili a tutti i cittadini dell’Unione, lavoratori subordinati o autonomi o che abbiano perso il lavoro, a prescindere dal Paese in cui hanno soggiornato in passato.
Reddito di cittadinanza: per l’UE il requisito di residenza discrimina i lavoratori stranieri
La Commissione Europea si è espressa in relazione alla disciplina del reddito di cittadinanza.
Il 15 febbraio 2023, la Commissione ha rilasciato il pacchetto delle principali decisioni sui casi di infrazione nei paesi dell’Unione. Queste sono relative a diversi settori e ambiti delle politiche UE e mirano a garantire la corretta applicazione del diritto europeo a beneficio dei cittadini e delle imprese.
Una di queste riguarda proprio il reddito di cittadinanza, il sussidio economico erogato a sostegno dei soggetti più fragili e rivoluzionato dalla Legge di Bilancio 2023.
Come si legge nel testo, la Commissione UE ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia. Si tratta di una lettera di costituzione in mora che la Commissione invia ad uno Stato membro quando rileva la violazione di una norma UE. Il Paese coinvolto ha due mesi di tempo per presentare le proprie osservazioni.
La motivazione alla base di tale decisione è che secondo la Commissione il reddito di cittadinanza non sarebbe in linea con il diritto dell’UE in materia di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, soggiornanti di lungo periodo e protezione internazionale.
In particolare, il problema è uno dei requisiti che, ai fini dell’accesso al sostegno economico, richiede il soggiorno nel Paese per 10 anni di cui 2 consecutivi. Soltanto in presenza di tale requisito di residenza, infatti, è possibile presentare la domanda per il reddito di cittadinanza.
Secondo la Commissione UE, però, tale requisito discrimina gli altri lavoratori dell’Unione, perché come stabilito dal regolamento (UE) n. 492/2011 e della direttiva 2004/38/CE:
“Le prestazioni di sicurezza sociale come il reddito di cittadinanza dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’UE che sono lavoratori subordinati o autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato.”
Reddito di cittadinanza: per l’UE dovrebbe essere accessibile senza eccessivi requisiti di residenza
Il requisito dei 10 anni di residenza, dunque, si configura come una forma di discriminazione indiretta, dato che risulta più probabile che i cittadini stranieri non abbiano la possibilità di soddisfare il criterio.
Inoltre, spiega la Commissione, i cittadini dell’Unione non impegnati in un’attività lavorativa per altri motivi dovrebbero poter beneficiare della prestazione alla sola condizione di essere legalmente residenti in Italia da almeno tre mesi.
In aggiunta, la direttiva 2003/109/CE prevede che i soggiornanti di lungo periodo provenienti da Paesi terzi abbiano accesso alla prestazione.
Risultano discriminati, poi, anche i soggetti che godono di protezione internazionale, i quali non hanno accesso a tale prestazione, in violazione della direttiva 2011/95/UE.
La disciplina così come in vigore al momento, conclude la Commissione, ha effetti negativi anche sugli stessi cittadini italiani. Il requisito di residenza, infatti, potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi al di fuori del Paese per motivi di lavoro, dato che non avrebbero più diritto al reddito di cittadinanza una volta rientrati.
Il Governo ora ha due mesi di tempo per rispondere alle osservazioni della Commissione UE, la quale al termine del periodo potrà decidere di inviare un parere motivato, cioè una richiesta formale di conformarsi al diritto dell’Unione.
Già in passato ci sono state diverse proposte per abbassare il requisito di residenza dai 10 anni attuali a 5, una misura più in linea con quanto previsto dall’UE, ma non sono mai state adottate. Si attende ora la risposta del Governo per capire su quali linee intenderà procedere.
Governo che peraltro è tenuto a rispondere anche ad un’altra procedura di infrazione, relativa all’assegno unico e universale per i figli a carico.
Come sottolineato dalla Commissione nel documento, si tratta di una prestazione cui hanno diritto solo persone residenti in Italia da almeno 2 anni, a condizione che vivano in uno stesso nucleo familiare insieme ai figli.
“Il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta inoltre qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale, quali gli assegni familiari.”
Secondo il parere della Commissione, pertanto, questa normativa è in contrasto con il diritto dell’Unione dato che non tratta i cittadini dell’UE in modo equo.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Reddito di cittadinanza: per l’UE il requisito di residenza discrimina i lavoratori stranieri