Il DDL Lavoro 2024 riapre la discussione sulle dimissioni in bianco. La misura per contrastare i furbetti della NASpI rischia di allentare le tutele contro i licenziamenti mascherati da dimissioni volontarie
Il DDL lavoro 2024 introduce alcune novità in materia di licenziamento che hanno acceso il dibattito nella sfera politica e non solo.
La nuova normativa interviene sui licenziamenti prevedendo in particolare come dopo 15 giorni di assenza ingiustificata il lavoratore sia considerato dimissionario, perdendo diritto quindi all’indennità di disoccupazione e alle altre tutele previste per legge in caso di licenziamento.
Una novità che di fatto rischia di facilitare i licenziamenti, rendendo anche più facile farli passare come dimissioni volontarie.
DdL Lavoro 2024: tornano le dimissioni in bianco?
La discussione alla Camera sul DDL lavoro 2024, il nuovo disegno di legge con interventi in materia di lavoro, ha riacceso i riflettori sul fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”.
Si tratta di una pratica, resa di fatto illegale dalla riforma Fornero del 2012, che permetteva ai datori di lavoro di far firmare le dimissioni al lavoratore (in bianco, appunto) al momento dell’assunzione. In questo modo, all’evenienza, il datore di lavoro poteva semplicemente inserire la data e procedere ad un licenziamento mascherato da dimissioni volontarie, aggirando così tutele e diritti dei lavoratori.
Il nuovo DDL lavoro non prevede l’introduzione di questa pratica ormai fuori legge, ma introduce delle novità che allentano le restrizioni sulle regole in materia di licenziamento.
In particolare, le previsioni contenute all’articolo 19 del DDL (A.C. 1532-bis) in esame alla Camera, intervengono sull’articolo 26 del decreto legislativo n. 151 del 2015, relativo alla normativa in materia di dimissioni volontarie e risoluzione consensuale del contratto di lavoro.
L’obiettivo è quello di contrastare i cosiddetti “furbetti” della NASpI, cioè chi invece di dimettersi spinge il datore di lavoro a procedere con il licenziamento così da poter beneficiare dell’indennità di disoccupazione (che non spetta in caso di dimissioni volontarie).
Il nuovo articolo prevede infatti che se il lavoratore fa assenze ingiustificate per un periodo che si protrae oltre il termine previsto dal CCNL applicato o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a 15 giorni, il datore di lavoro può segnalarlo all’Ispettorato del Lavoro che si riserva la possibilità di verificare la veridicità della comunicazione (la verifica al momento non è quindi obbligatoria).
In tal caso, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina vigente in materia di dimissioni telematiche. Il lavoratore perde quindi il diritto alle tutele previste per legge in caso di licenziamento.
Al lavoratore l’onere della prova
La questione sollevata dall’opposizione, sta nel fatto che si dà per scontata la volontà del lavoratore di interrompere il rapporto, quando invece potrebbe essere spinto all’assenza dal datore di lavoro che intende licenziarlo.
Un esempio, il caso in cui il lavoratore non riceve lo stipendio da tempo e dopo rimostranze decide di non presentarsi al lavoro, ma passati 15 giorni si ritrova dimissionato e non licenziato e pertanto non può avere accesso alle tutele previste per legge.
L’onere della prova poi viene fatto ricadere unicamente sul lavoratore stesso. Sta a lui infatti dimostrare l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza.
Ad ogni modo, la novità non è ancora ufficiale. Il DDL sta proseguendo il suo iter parlamentare. Al momento si si trova in esame alla Camera per poi passare al Senato.
Si dovrà attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale prima di poter avere la conferma delle misure introdotte.
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