Il diritto al rimborso spetta soltanto al soggetto che abbia già versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione
I giudici della Corte di Cassazione affermano che il diritto al rimborso spetta soltanto al soggetto che abbia già versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione, in ragione del carattere personale dell’opzione fiscale esercitata, che costituisce una dichiarazione di volontà non revocabile.
Diversamente, la ratio di “scambio” tra “risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata” per il contribuente e “immediato introito fiscale” per l’Amministrazione non troverebbe più ragion d’essere.
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La fattispecie e la disciplina delle rivalutazioni
Con riferimento alla fattispecie posta all’attenzione della Corte, si fa presente che un contribuente, socio al 33 per cento di una società, ha effettuato una rivalutazione della propria partecipazione societaria e in seguito ha versato, in tre rate, la relativa imposta sostitutiva.
Successivamente, con due atti notarili, ha donato le azioni al figlio, il quale ha poi operato una nuova rivalutazione delle partecipazioni societarie donate, con determinazione dell’imposta sostitutiva e versamento della prima rata.
Il medesimo figlio quindi ha presentato all’Agenzia delle Entrate un’istanza di rimborso di quanto in precedenza versato dal proprio dante causa, dato che tale somma non era stata dedotta in compensazione.
Il contribuente innanzitutto afferma che il caso in esame sarebbe riconducibile alle ipotesi coperte dal divieto di doppia imposizione, in quanto tale principio troverebbe applicazione non solo quando la stessa imposta venga applicata nei confronti del medesimo soggetto, ma anche quando ciò avvenga nei confronti di soggetti diversi, legati tra loro da particolari relazioni.
Lamenta inoltre che il giudice “a quo” avrebbe erroneamente qualificato l’imposta sostitutiva di cui alla legge n. 448 del 2011 come “personale”, essendosi invece in presenza di un’imposta “reale”, che prescinderebbe dalle caratteristiche personali del contribuente, basandosi esclusivamente e in modo proporzionale sul valore della base imponibile.
Inoltre, il ricorrente afferma che l’articolo 68 del DPR n. 917 del 1986 sancirebbe la regola della continuità tra donante e donatario del costo fiscalmente riconosciuto.
Il donatario, pertanto, con riguardo alle partecipazioni azionarie donate, non solo subentrerebbe nella posizione fiscale del donante, ma anche nelle posizioni giuridiche strettamente connesse alle rivalutazioni effettuate, come se le imposte fossero state da lui stesso versate.
Il diritto al rimborso spetta soltanto al soggetto che ha versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione
Ciò premesso, la Corte non ha accolto il ricorso del contribuente sulla base delle seguenti argomentazioni.
La disciplina della rivalutazione delle partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati è stata introdotta dall’articolo 5 della legge n. 448 del 2001 rubricato “Rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati”, che ha disposto che:
- “Agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’art. 81, comma 1, lett. c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, (...), per i titoli, le quote o i diritti non negoziati nei mercati regolamentati posseduti alla data del 1 gennaio 2002, può essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data della frazione del patrimonio netto della società, associazione o ente, determinato sulla base di una perizia giurata di stima (...), a condizione che il predetto valore sia assoggettato ad una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi (...)” (comma 1);
- “L’imposta sostitutiva di cui al comma 1 è pari al 4 per cento per le partecipazioni che risultano qualificate, ai sensi dell’art. 81, comma 1, lett. c) citato Testo Unico delle imposte sui redditi, alla data del 1 gennaio 2002, e al 2 per cento per quelle che, alla predetta data, non risultano qualificate ai sensi del medesimo art. 81, comma 1, lett. c-bis), ed è versata, con le modalità previste dal capo 3 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, entro il 16 dicembre 2002” (comma 2);
- “L’imposta sostitutiva può essere rateizzata fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo, a partire dalla predetta data del 16 dicembre 2002 (...)” (comma 3);
- “L’assunzione del valore di cui ai commi da 1 a 5 quale valore di acquisto non consente il realizzo di minusvalenze utilizzabili ai sensi dell’art. 82, commi 3 e 4 cit. T.U. delle imposte sui redditi” (comma 6).
Negli anni seguenti, la normativa è stata oggetto di numerosi interventi legislativi che hanno riaperto i termini per la rivalutazione delle partecipazioni, consentendo anche che si procedesse a nuove rivalutazioni, con la possibilità di chiedere, successivamente al versamento dell’intero importo o quantomeno della prima rata della nuova imposta sostitutiva, la compensazione o il rimborso della precedente imposta sostitutiva, nei limiti di quanto dovuto sulla base dell’ultima rivalutazione.
La Corte, nel delineare le caratteristiche dell’imposta sostitutiva, rileva che essa ha natura volontaria, essendo frutto di una libera scelta del contribuente, che opta per la rideterminazione del valore del bene con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria che sarebbe dovuta sulla plusvalenza non affrancata.
A fronte di ciò, l’Amministrazione finanziaria riceve un immediato introito fiscale.
Essendo una dichiarazione di volontà irretrattabile, la stessa non può essere revocata, nemmeno in conseguenza di un evento successivo e imprevedibile, quale il decesso del contribuente, se avvenuto prima della cessione della partecipazione.
Tale sistema di rivalutazioni, infatti, comporta che il perfezionamento dell’obbligazione tributaria si ha con il versamento, entro i termini stabiliti dall’articolo 5 della legge n. 448 del 2001 dell’intero importo o della prima rata, se rateizzato, dell’imposta sostitutiva.
Non viene quindi meno la causa giuridica dell’adempimento se, in un secondo momento, il contribuente non cede la partecipazione, non realizzando così alcuna plusvalenza.
In altri termini, una volta soddisfatte tali condizioni si determina l’irreversibile perfezionamento dell’obbligazione tributaria e, proprio perchè non è necessario che vi sia una cessione del bene, non sono rilevanti eventi successivi, anche se imprevedibili, che la impediscano.
Coerentemente con tale ricostruzione normativa e giurisprudenziale, infatti, la Corte ha più volte negato il diritto al rimborso agli eredi del “de cuius”, contribuente che avesse operato una prima e una seconda rivalutazione, senza tuttavia cedere il bene a causa del suo decesso.
Il caso di specie: la posizione della Corte
La peculiarità del caso di specie, tuttavia, induce la Corte ad effettuare ulteriori considerazioni, in particolare per quanto attiene alla successione nella posizione del donante rispetto alle partecipazioni donate.
Nella fattispecie in esame, il donatario è solo succeduto nella titolarità delle partecipazioni affrancate dal donante e non anche nel diritto al rimborso, che non è sorto in quanto la seconda rivalutazione non è stata operata dallo stesso contribuente, ancora in possesso del bene già affrancato, ma da un soggetto diverso, a nulla rilevando la qualifica di donatario, perché in capo a quest’ultimo è sorta una nuova obbligazione tributaria.
In tema di imposta sostitutiva per la rivalutazione dei titoli, il diritto al rimborso delle imposte versate in occasione di una prima rivalutazione di partecipazioni azionarie non spetta al cessionario che abbia proceduto ad una seconda rivalutazione ed al versamento dell’imposta, ragguagliata al nuovo valore delle azioni, dato che, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, lett. ee) ed ff), del decreto legge n. 70 del 2011, solo il soggetto che abbia già versato l’imposta relativa alla prima rivalutazione può chiederne il rimborso, ove non si sia avvalso della possibilità di detrarla dal tributo dovuto per una nuova rivalutazione che egli stesso abbia effettuato dei titoli che siano rimasti sempre in suo possesso.
Inoltre, in tema di imposta sostitutiva sui capital gains, il contribuente, dopo aver effettuato una prima rivalutazione del bene (nella specie, partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati), con conseguente versamento dell’imposta, può chiedere, se è ancora in possesso di tale bene, ove venga introdotta una disciplina fiscale più favorevole, una nuova determinazione del valore, con diritto, anche nell’assetto antecedente alla vigenza dell’articolo 7 del decreto legge numero 70 del 2011.
Ciò è applicabile anche alla fattispecie in esame, dato che la donazione di un bene ne comporta la cessione per spirito di liberalità.
Inoltre, l’articolo 68, comma 6 del DPR n. 917 del 1986 (riguardante le modalità di determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria realizzati per effetto della cessione di attività finanziarie ricevute in donazione) prevede che, ai fini della determinazione del costo fiscale, si continui ad assumere il costo sostenuto dal donante aumentato dell’eventuale imposta di donazione a carico del donatario.
In sostanza, al fine di evitare salti di imposta, il legislatore ha stabilito che si deve tener conto del costo che il donante avrebbe assunto come costo o valore di acquisto se, invece di donare l’attività finanziaria, l’avesse ceduta a titolo oneroso.
Come precisato nelle circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 165/E del 24 giugno 1998 e n. 52/E del 10 dicembre 2004, tale scelta è dettata da esigenze antielusive, e quindi per evitare che la donazione possa essere utilizzata come strumento per elevare artificiosamente il costo della partecipazione o del titolo.
Pertanto, in caso di donazione, il cedente deve assumere lo stesso costo o valore di acquisto che poteva assumere il donante, compreso quello rideterminato.
La finalità della norma è dunque quella di assicurare che il trasferimento avvenga in regime di neutralità e continuità di valori. Tuttavia, essa non ha l’effetto di sostituire l’intera posizione del donatario con quella del donante.
L’imposta sostitutiva corrisposta dal donante, infatti, trattandosi di un’imposta personale, assolve alla funzione di rideterminare il costo di acquisto della partecipazione, con l’effetto di realizzare una minore plusvalenza in caso di cessione della partecipazione stessa da parte del medesimo soggetto che ha posto in essere la procedura di rideterminazione.
Inoltre, la Corte evidenzia che l’articolo 7 comma 2, lett. ee), del decreto legge n. 70 del 2011, che prevede lo scomputo dell’imposta in caso di successive rideterminazioni, presuppone necessariamente che lo scomputo sia effettuato dallo stesso soggetto che ha versato l’imposta sostitutiva in occasione di precedenti rideterminazioni. Tale disposizione è volta, infatti, al recupero dell’imposta pagata dallo stesso soggetto al fine di evitare duplicazioni dell’imposta già pagata.
Pertanto, in caso di rideterminazione del costo di acquisto della partecipazione posseduta alla data del 1° gennaio 2014, i donatari non possono scomputare l’imposta sostitutiva corrisposta dai donanti.
Il diritto al rimborso, infatti, spetta soltanto al soggetto che abbia già versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione, e ciò in ragione del carattere personale dell’opzione fiscale sopra specificata, che si caratterizza per essere una dichiarazione di volontà non revocabile.
Diversamente, infatti, la stessa ratio di “scambio” tra “risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata” per il contribuente e “immediato introito fiscale” per l’Amministrazione non troverebbe più ragion d’essere.
La Corte pertanto rigetta il ricorso sulla base del seguente principio di diritto:
“In tema di imposta sostitutiva per rivalutazione di titoli, il diritto al rimborso delle imposte versate in occasione di una prima rivalutazione di partecipazioni azionarie non spetta al donatario degli stessi titoli che abbia proceduto ad una seconda rivalutazione e al versamento dell’imposta, ragguagliata al nuovo valore delle azioni, dal momento che, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, lettere ee) ed ff), del decreto legge n. 70 del 2011, solo il soggetto che abbia già versato l’imposta relativa alla prima rivalutazione può chiederne il rimborso, ove non si sia avvalso della possibilità di detrarla dal tributo dovuto per una nuova rivalutazione che egli stesso abbia effettuato dei titoli che siano rimasti sempre in suo possesso.”
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