Presupposti di impugnabilità del diniego di autotutela

Giovambattista Palumbo - Leggi e prassi

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 22445/2023 affronta il tema dell'autotutela e dell'impugnabilità del provvedimento di diniego. Analisi e commento

Presupposti di impugnabilità del diniego di autotutela

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 22445/2023, si è espressa in tema di autotutela e impugnabilità del provvedimento di diniego.

Nel caso di specie, la società aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito di un contenzioso su provvedimento di diniego di istanza di rimborso IVA.

Il giudice di appello aveva osservato che il ricorso originario era inammissibile, essendo stato violato il principio del ne bis in idem, atteso che il provvedimento impugnato aveva confermato il contenuto di precedente provvedimento di diniego già oggetto di impugnativa in altro giudizio conclusosi a favore dell’Amministrazione con sentenza della Corte di Cassazione.

Inoltre, rilevava la CTR, l’atto di diniego in questione non era autonomamente impugnabile ex art. 19 del Dlgs. 546/1992.

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Presupposti di impugnabilità del diniego di autotutela

La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso infondato, richiama la sentenza n. 181 del 2017 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-quater, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, conv., con mod., dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, e dell’art. 19, comma 1, del Dlgs. 31 dicembre 1992, n. 546, richiamando a sua volta la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui l’autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente (ex multis, Cass., sentenza 15 aprile 2016, n. 7511; Cass., SSUU, sentenza 4 ottobre 1996, n. 8685), non potendo peraltro il silenzio stesso essere considerato un diniego in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (cfr., Cass., SSUU, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Cass.,, sentenza 9 ottobre 2000, n. 13412).

Anche in un contesto in cui l’annullamento d’ufficio di atti inoppugnabili per vizi “sostanziali”, cioè che hanno condotto l’Amministrazione a percepire somme non dovute, tende a soddisfare l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, convergendo così con quello del contribuente, la Corte ricorda che comunque non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile.

Tale interesse richiede dunque di essere bilanciato secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa, confermandosi, in ogni caso, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio.

Di fronte ad una istanza di autotutela, alle Agenzie fiscali è pertanto consentito di valutare se attivarsi o meno, senza che la loro eventuale scelta di non provvedere possa essere oggetto di contestazione giurisdizionale da parte dell’istante.

Non è illegittimo l’annullamento d’ufficio delle istanze di autotutela

Se dunque la previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è possibile, così come l’introduzione di limiti all’esercizio del potere di autoannullamento, non può però certo dirsi costituzionalmente illegittima una disciplina generale che escluda il dovere dell’Amministrazione finanziaria di pronunciarsi sulle istanze di autotutela.

Anzi, proprio nel principio di buon andamento espresso dall’art. 97 Cost. si radica il vincolo di tenere conto, nella disciplina dell’annullamento d’ufficio, anche dell’interesse pubblico alla stabilità dei rapporti giuridici già definiti.

In tema di contenzioso tributario, poi, ai sensi dell’art. 19 Dlgs. n. 546/92, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (cfr., Cass., n. 25524 del 02/12/2014; Cass., n. 1803 del 2019).

Tanto premesso in termini generali, venendo al caso di specie, l’atto impugnato era un atto di conferma c.d. impropria, cioè un atto confermativo di un precedente provvedimento di diniego di rimborso, senza alcuna istruttoria e senza una nuova motivazione.

Nel caso, invece, di conferma c.d. propria, l’Amministrazione entra nel merito dell’istanza e inizia un vero e proprio procedimento di riesame, con una nuova valutazione della situazione in fatto di diritto.

In tal caso e solo in tal caso l’atto emanato si sostituisce al precedente come fonte di disciplina del rapporto e il precedente provvedimento resta assorbito dal nuovo.

E solamente in tale evenienza è ammissibile quindi l’impugnazione del provvedimento espresso di diniego di autotutela (cfr., Cass., sez. 5, n. 1803 del 2019).

Il provvedimento meramente ripetitivo di un precedente provvedimento di diniego di rimborso (nella specie, divenuto definitivo in forza della sentenza della Corte di Cassazione), non è invece impugnabile autonomamente, come tutti gli atti amministrativi confermativi.

Impugnabilità degli atti, limiti con interpretazione estensiva

In conclusione, e a prescindere dallo specifico caso processuale, giova rilevare che, salvi i limiti espressamente posti dalla legge (vedi per esempio giudicato sul merito) permane sempre la possibilità della P.A. di intervenire sul rapporto, ma tale intervento deve essere giustificato da sopravvenuti, eccezionali, elementi, che debbono essere posti in bilanciamento con la forza della definitività dell’atto.

Peraltro, sul punto, la Corte di Cassazione ha anche ribadito che, in tema di contenzioso tributario, poiché il rigetto è atto definitivo autonomamente impugnabile, una volta non impugnato, sono inammissibili l’istanza di revisione di detto rigetto e l’impugnazione (tardiva) del relativo diniego, costituendo a quel punto l’istanza una mera sollecitazione del potere di autotutela (cfr., Cass., n. 18604/2019).

Vero è che l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell’art. 19 del Dlgs. n. 546 del 1992, è suscettibile di un’interpretazione estensiva, dovendo riconoscersi al contribuente la possibilità di ricorrere alla tutela assicurata dal giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’Ente impositore idonei ad incidere sul rapporto tributario.

Ma tale sindacato, nell’ambito dei presupposti già evidenziati, sarà eventualmente comunque possibile solo per motivi riguardanti la legittimità del rifiuto e non già per contestare la fondatezza della pretesa tributaria.

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