Il corretto riparto dell’onere probatorio nelle operazioni inesistenti

Con la sentenza n. 32370 del 2023 la Corte di Cassazione analizza il corretto riparto dell'onere probatorio nelle operazioni considerate inesistenti

Il corretto riparto dell'onere probatorio nelle operazioni inesistenti

Il tema delle operazioni inesistenti è sempre molto dibattuto in ambito tributario, soprattutto per le enormi conseguenze che può produrre dal punto di vista fiscale e penale.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32379/2023, si è recentemente occupata proprio del corretto riparto dell’onere probatorio nell’ambito delle operazioni contestate come inesistenti da parte dell’Amministrazione finanziaria.

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Corretto riparto dell’onere probatorio nelle operazioni inesistenti: il fatto

La pretesa impositiva traeva origine da un controllo effettuato dalla Guardia di Finanza nei confronti di un imprenditore individuale risultato essere evasore totale, al quale aveva fatto seguito l’effettuazione di riscontri incrociati con le imprese sue clienti, fra le quali una srl, di cui l’odierno ricorrente era socio unico.

L’Agenzia delle entrate ha notificato alla S.r.l. un avviso di accertamento con il quale provvedeva alla rettifica del reddito per l’anno 2005, previo disconoscimento dei costi relativi alle fatture ricevute.

Tale atto impositivo ha costituito la ragione della notifica di ulteriore avviso al socio unico della S.r.l., per l’accertamento del corrispondente maggiore reddito.

Sia il scocio unico che la società hanno impugnato gli avvisi con separati ricorsi innanzi ai giudici di prime cure, che li hanno respinti.

Di contrario avviso i giudici di appello. Per quanto in questa sede di interesse, la C.T.R. ha accolto l’appello proposto dal socio unico, sul mero rilievo dell’intervenuto accoglimento del gravame interposto dalla società.

Da qui il ricorso in Cassazione da parte delle Entrate affidato a due motivi:

  • con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate rileva che la sentenza impugnata, nel ritenere fondato l’appello del contribuente sulla sola base della decisione emessa nei confronti della società, ha completamente pretermesso l’esame della vicenda e l’applicazione della normativa di riferimento. Infatti, successivamente, era emerso che le fatture ricevute dalla società “erano tutte relative a operazioni oggettivamente inesistenti, la contestazione fondata sulla carenza dei requisiti per la deducibilità del costo era assistita da presunzione e, correlatamente, il contribuente doveva ritenersi onerato della prova di legittimità e correttezza delle deduzioni, da offrire mediante l’esibizione dei documenti contabili”;
  • con il secondo motivo, l’Agenzia denunzia l’omesso esame di controversi e decisivi fatti per il giudizio, richiamando il nutrito materiale probatorio offerto ai giudici d’appello a compendio della presunzione che sosteneva la pretesa impositiva, e da questi ultimi completamente trascurato nello scrutinio della stessa. La censura mette in luce, in particolare, le diverse anomalie emerse in relazione alle operazioni, quali: “l’indicazione di una sede presso la quale l’impresa individuale del ….. non aveva mai stabilito il proprio esercizio; l’impiego, da parte della stessa, di un timbro relativo ad altra impresa, con diversa ragione sociale e risultata cessata ben prima dell’emissione dei documenti; la ripetizione del numero progressivo nelle fatture dello stesso anno; l’inidoneità intrinseca dell’impresa, per la forza lavorativa effettiva della quale disponeva, all’esecuzione delle prestazioni di servizio corrispondenti all’importo fatturato; il fatto che buona parte dei mezzi dell’impresa fossero stati posti, per il periodo interessato dalle fatture, in stato di fermo amministrativo; l’assoluta carenza di riscontri idonei a dimostrare l’effettiva corresponsione degli importi fatturati.”

Il pensiero degli Ermellini

Per la Corte, i motivi, suscettibili di esame congiunto per la loro connessione, sono fondati.

La prospettazione delle censure attiene al tema del corretto riparto dell’onere probatorio nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza oggettiva delle operazioni riportate nelle fatture passive, nonché dell’individuazione degli elementi indiziari sui quali tale pretesa può essere basata.

Com’è noto, poiché la fattura costituisce, di regola, titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA e alla deducibilità dei costi, spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto; tale dimostrazione può consistere anche in presunzioni semplici, che costituiscono (in tal senso Cass. n. 28628/2021; Cass. n. 17619/2018):

“prove complete alle quali il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento.”

Con specifico riferimento all’ipotesi nella quale l’inesistenza di operazioni sia assunta a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta:

“l’Ufficio è tenuto a provare che l’operazione documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.”

Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’Amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti elementi:

“idonei ad affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati, ovvero l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione.”

Pertanto (così, ancora, Cass. n. 28628/2021):

“il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ.”

Nel caso di specie, i giudici regionali hanno completamente omesso di procedere a tale valutazione.

Infatti, la sentenza impugnata difetta:

“del benché minimo apprezzamento dei numerosi elementi indiziari posti dall’Amministrazione a sostegno della pretesa impositiva e concernenti, in particolare, le intrinseche caratteristiche dell’impresa emittente, nonché le obiettive carenze nella ricostruzione delle prestazioni asseritamente eseguite; conseguentemente, i giudici regionali neppure accennano a uno scrutinio delle allegazioni svolte dal contribuente, nell’ottica dell’assolvimento dell’onere probatorio posto a suo carico.”

Né, in tal senso, possono trarsi elementi significativi dal mero richiamo alla sentenza di accoglimento dell’appello proposto dalla società, il cui contenuto non è neppure riportato o riassunto.

Brevi note tecnico operative sul tema delle operazioni inesistenti ai fini IVA

La pronuncia in rassegna, si inserisce in quel filone giurisprudenziale maggioritario secondo cui qualora l’Amministrazione finanziaria contesti la fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti grava sul contribuente la prova contraria.

Infatti, come rilevato dai giudici supremi nell’ordinanza n. 28628/2021, nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sé sole considerate, a fondare il convincimento del giudice.

Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

Al fine di individuare, poi (vd., con riferimento alle operazioni soggettivamente inesistenti ed in materia di prova della natura di società cartiera: Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8):

“quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura.”

E l’Amministrazione finanziaria non è onerata, come nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, di fornire anche la prova della consapevolezza, da parte del contribuente che ha ricevuto la fattura, della natura fraudolenta dell’operazione.

Ricordiamo ancora che con l’ordinanza n. 31878 del 27 ottobre 2022 la Corte Suprema ha affermato che il comma 5-bis, dell’art. 7, del D. Lgs. n. 546/1992, introdotto dalla L. n. 130/2022, non ha ha fatto altro che ribadire quanto già previsto in ordine all’onere probatorio gravante in giudizio sull’Amministrazione finanziaria, senza che ciò muti l’onere della prova.

E a nostro avviso i giudici di Piazza Cavour non si sono riferiti alla sola “materia” delle operazioni soggettivamente inesistenti ma hanno voluto affermare un principio di carattere generale, per tutte le ipotesi non assistite da presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio.

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