Il valore ai fini del registro non basta per accertare l’evasione della plusvalenza

Emiliano Marvulli - Imposte

L'Amministrazione finanziaria non può accertare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro. Lo chiarisce la Cassazione nella ordinanza n. 3725/2024

Il valore ai fini del registro non basta per accertare l'evasione della plusvalenza

Con l’Ordinanza n. 3725 pubblicata il 9 febbraio 2024 la Corte di cassazione ha ribadito che, dopo l’introduzione del D.Lgs. 147 del 2015, l’Amministrazione finanziaria non può procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro.

Spetta pertanto all’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria.

Il valore ai fini del registro non basta per accertare l’evasione della plusvalenza

La controversia riguarda un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate ha recuperato a tassazione un maggior reddito derivante dalla plusvalenza realizzata con la vendita di un suolo edificabile.

In particolare, a fronte di un corrispettivo dichiarato di euro 400.000 l’Ufficio rideterminava quest’ultimo in euro 1.065.154,00, parametrato sul valore rettificato ai fini dell’imposta di registro a seguito di accertamento con adesione.

Il ricorso è stato respinto in entrambi i gradi di giudizio. In particolare, a giudizio della Corte dell’appello il valore rettificato ai fini dell’imposta di registro costituiva valido elemento presuntivo ai fini delle imposte dirette e che il contribuente non aveva fornito adeguata prova contraria in odine alla veridicità del prezzo, inferiore, che aveva dichiarato di aver incassato.

La decisione della CTR è stata impugnata dal contribuente per presunta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 del DPR n. 600/1973, degli artt. 67, comma 1, lett b) e 68 Tuir nonché dell’art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147/2015.

A parere del ricorrente la sentenza impugnata è errata per aver ritenuto legittima la rettifica della plusvalenza esclusivamente sulla scorta della definizione concordata dell’imposta di registro in sede di accertamento con adesione.

A riguardo è stato osservato che, dopo la pronuncia della C.t.r., è intervenuto l’art. 6, comma 3, DLgs. n. 147 del 2015, che costituisce norma di interpretazione autentica, la quale ha statuito che l’esistenza di un maggior corrispettivo non può presumersi sulla base del solo valore dichiarato accertato o definito ai fini dell’imposta di registro.

La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il motivo di doglianza e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

Prima dell’introduzione del DLgs. n. 147 del 2015 la giurisprudenza di legittimità era concorde nell’affermare che, nella fase di accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, l’Amministrazione finanziaria era legittimata a procedere, in via presuntiva, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro.

Era a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di aver in concreto venduto ad un prezzo inferiore.

Successivamente è intervenuto l’art. 5, comma 3 del citato decreto del 2015 che ha previsto che gli articoli 58, 68, 85 e 86 del Tuir si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende, nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro.

A seguito dell’intervento legislativo, la cui norma costituisce interpretazione autentica della previgente disciplina con efficacia retroattiva, la Corte di legittimità ha affermato che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5 cit. esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria.

L’interpretazione autentica della disciplina, laddove è previsto che il maggior corrispettivo ai fini dell’imposta di registro sia stato «dichiarato, accertato o definito», va intesa nel senso dell’irrilevanza della sua determinazione, non solo in sede di accertamento, ma anche in occasione di qualunque modalità di definizione, ivi compreso l’accertamento con adesione.

La sentenza qui impugnata non si è attenuta a questi principi quando ha affermato la legittimità dell’accertamento della plusvalenza non dichiarata ai fini dell’Irpef, imperniato sulla rettifica del valore della cessione operata dall’Ufficio, ai fini dell’imposta di registro, ritenendo che fosse onere della parte fornire prova contraria.

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