Il giudizio estimativo/equitativo nel processo tributario

L'Ordinanza n. 1707 del 2024 della Corte di Cassazione fornisce alcune rilevanti osservazioni in merito all'ammissibilità del giudizio equitativo nel processo tributario

Il giudizio estimativo/equitativo nel processo tributario

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 1707 del 2024, ha espresso alcune rilevanti osservazioni sulla natura del processo tributario e in particolare sull’ammissibilità o meno del giudizio equitativo.

Nel caso di specie, il contribuente, esercente l’attività di ristorazione, aveva separatamente impugnato tre avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2007, 2008 e 2009, con i quali, a seguito di accesso e conseguente PVC, erano stati accertati maggiori ricavi e le conseguenti imposte dirette e IVA.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto i ricorsi riuniti, con sentenza poi parzialmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale aveva ritenuto che dalla contabilità aziendale emergessero diverse irregolarità, quali la mancata esibizione del dettaglio delle rimanenze finali e iniziali, la movimentazione del conto cassa in contanti, l’incongruenza degli acquisti con i risultati di esercizio, con particolare riferimento all’acquisto dei prodotti primari utilizzati dal ristorante, il numero di portate rispetto al volume di affari dichiarato e i dati inseriti negli studi di settore, ritenendo sussistere sufficienti elementi indiziari tali da indurre la presunzione di inattendibilità della contabilità ai fini della metodologia analitico-induttiva applicata.

Il giudizio estimativo/equitativo nel processo tributario: il caso di specie

Il giudice di secondo grado aveva poi osservato che gli elementi contabili sulla base dei quali si era proceduto all’accertamento con la modalità analitico-induttiva (in particolare, periodo di apertura, numero coperti, prezzo medio e tipologia di pagamenti), erano stati rideterminati in contraddittorio con il contribuente, essendo stato in particolare valorizzato l’elemento indiziario del consumo di tovaglioli, nella specie di carta, utilizzati (cd. tovagliometro).

Sotto questo profilo, il giudice di appello aveva rilevato che l’Ufficio non aveva però tenuto conto dello sfrido e aveva fatto applicazione del prezzo dei pasti determinato al momento dell’accesso e non alla data dei precedenti periodi di imposta, per cui aveva ridotto gli importi accertati del 25 per cento.

Il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la nullità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto di rideterminare una riduzione degli importi accertati nella misura del 25 per cento sia in relazione allo sfrido dei tovaglioli e sia in relazione al prezzo medio dei pasti non dichiarati, laddove invece, a suo avviso, il giudice di appello, preso atto dell’illegittimità dell’accertamento, avrebbe dovuto annullare l’avviso nel suo complesso, anziché rideterminarle nel merito.

Sotto un secondo profilo il ricorrente deduceva poi la violazione del principio di diritto vivente circa la natura di impugnazione di merito del processo tributario, in quanto, in questo caso, non sarebbe ricorso, ai fini della pronuncia di merito, un profilo di infondatezza dell’accertamento, bensì un vizio formale, per essere il dato dello sfrido e del valore dei pasti assente, o, comunque, erroneamente applicato nell’avviso impugnato.

In ogni caso, infine, il contribuente contestava il ricorso del giudice all’equità, ritenendo che l’equità non potesse costituire un parametro alternativo al giudizio secondo diritto.

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che il giudice di appello, con percorso argomentativo compiuto, aveva ritenuto sussistenti i presupposti perché l’Ufficio procedesse ad accertamento analitico-induttivo, stanti la sussistenza di presunzioni dotate di gravità indiziaria e aveva ritenuto corretto l’utilizzo del tovagliometro, riducendo nel merito gli importi in relazione alla mancata applicazione dello sfrido e della corretta determinazione del valore di transazione dei pasti in relazione ai periodi di imposta accertati.

Rilevava poi la Corte che il processo tributario è annoverabile tra quelli di impugnazione-merito, in quanto volto a una decisione sostitutiva dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa impositiva e ricondurla eventualmente alla corretta misura (cfr., Cass., Sez. V, 23 dicembre 2020, n. 29364; Cass., Sez. V, 10 settembre 2020, n. 18777; Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 25629; Cass., Sez. V, 20 marzo 2013, n. 6918).

E nella specie il giudice aveva accertato nel merito l’infondatezza parziale della pretesa impositiva, per non avere l’atto impugnato affrontato il tema dello sfrido e affrontato erroneamente il tema del valore di transazione del pasto, in relazione ai quali veniva quindi applicata una riduzione forfetaria degli importi accertati.

Quanto infine alla decisione “equitativa”, la Cassazione rileva che ciò che è precluso al giudice tributario è il fare uso di poteri di equità sostitutiva, dovendo piuttosto fondare la propria decisione su giudizi estimativi, di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio (cfr., Cass., Sez. V, 18 maggio 2023, n. 13726; Cass., Sez. V, 25 giugno 2019, n. 16960).

Non ricorre, pertanto, l’equità sostitutiva ove il giudice di appello abbia effettuato un giudizio estimativo, riducendo le pretese dell’Amministrazione finanziaria (cfr., Cass., Sez. VI, 21 dicembre 2015, n. 25707; Cass., Sez. V, 24 febbraio 2020, n. 4442), vuoi perché abbia ritenuto parzialmente sfornita di prova la pretesa impositiva, vuoi perché abbia accolto in parte le prove offerte dal contribuente.

Nella specie, come visto, il giudice di appello aveva per l’appunto effettuato un giudizio estimativo, ritenendo che l’avviso impugnato fosse carente nella parte in cui non aveva considerato l’utilizzo dei tovaglioli di carta per altri scopi, come in caso di sfrido e che fosse comunque erroneo nell’avere considerato il prezzo unitario dei pasti alla data dell’accesso, laddove si sarebbe dovuto fare invece riferimento ai menu dei tre esercizi oggetto di accertamento.

In relazione a tali carenze istruttorie, il giudice aveva quindi correttamente compiuto un giudizio estimativo, riducendo forfetariamente gli importi accertati del 25 per cento.

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

Il giudizio estimativo/equitativo nel processo tributario: il parere della Cassazione

La valutazione del Giudice tributario deve essere sempre frutto di un giudizio, non riconducibile alla equità sostitutiva, consentita nei soli casi previsti dalla legge (cfr., Cass., n. 38161 del 30/12/2022), laddove il giudizio estimativo non è del resto riconducibile alla cd. equità sostitutiva (cfr., Cass., n. 4952 del 6.2.2018).

La sentenza meramente “equitativa” infatti non soddisfa gli oneri motivazionali richiesti dalla legge, con la conseguenza che la sentenza dovrebbe in tal caso essere considerata nulla, in quanto in sostanza non motivata e quindi in violazione degli artt. 36 del D. Lgs 546/92 e 132 c.p.c..

La motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale deve infatti rendere evidente l’iter logico-giuridico seguito dal giudicante, consentendo così al soggetto interessato un’adeguata attività difensiva.

Non esiste peraltro un’espressa disposizione che attribuisca al giudice tributario il potere di decidere secondo equità e la natura giurisdizionale delle Commissioni non lascia dubbio sulla piena applicabilità anche a tale giudizio di quelle disposizioni costituzionali (quali, ad esempio, l’articolo 101 della Costituzione) che relegano il giudizio di equità entro spazi limitati e tassativamente stabiliti dal legislatore.

Il giudizio “secondo equità”, al di fuori dei casi previsti dalla legge, viola dunque l’articolo 113, comma 2, c.p.c. e potrebbe sovvertire la corretta ripartizione dell’onere della prova, laddove i giudici, ricorrendo a non meglio precisate valutazioni equitative, non possono sottrarsi al proprio dovere di decidere la controversia in base (e solo in base) alle previsioni di legge e al materiale probatorio acquisito in giudizio.

Il processo tributario, del resto, è annoverabile tra quelli di impugnazione - merito, non essendo diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio.

Perciò, laddove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura (non in via equitativa, ma estimativa), entro i limiti posti dalle domande di parte (cfr., Cass., 15825/06, 17127/07, 19079/2009, 16686/16).

Non v’è dubbio peraltro che il giudice tributario possa pronunciare sia sentenze che annullano in toto l’atto impositivo, sia sentenze che lo annullano solo in parte, ad esempio riducendo la base imponibile determinata nell’avviso.

Giudizio di “impugnazione-merito” significa, in sostanza, “annullamento-riforma” dell’atto impugnato, ossia determinazione ex novo della base imponibile del tributo, anche sulla base di prove e criteri diversi da quelli posti dall’Amministrazione a fondamento dell’atto impugnato.

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