Bonus mamme nel welfare aziendale? Imponibile l’importo riconosciuto alle lavoratrici madri

Rosy D’Elia - Irpef

Il bonus mamme che l'azienda intende riconoscere alle lavoratrici madri, dopo il congedo di maternità, può essere incluso nell'ambito del piano di welfare aziendale? L'importo rientra nel reddito imponibile. Lo chiarisce l'Agenzia delle Entrate nella risposta all'interpello numero 57 del 1° marzo 2024

Bonus mamme nel welfare aziendale? Imponibile l'importo riconosciuto alle lavoratrici madri

Non è possibile considerare nel piano di welfare aziendale, e quindi tra i benefit esclusi dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, un bonus mamme riconosciuto alle lavoratrici madri che rientrano dal congedo di maternità.

Lo chiarisce l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello numero 57 del 2024: sono le condizioni lavorative e non quelle personali che permettono di escludere dall’IRPEF i benefici erogati.

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Bonus mamme alle lavoratrici madri che rientrano dopo il congedo di maternità? Non è welfare aziendale

Ad accendere i riflettori sul tema è un’azienda intenzionata a erogare un bonus mamme alle sue dipendenti: l’idea è quella di riconoscere alle lavoratrici madri, al termine del congedo di maternità per tre mesi, un contributo di welfare aziendale pari alla differenza tra l’indennità ricevuta e il 100 per cento della retribuzione lorda.

Il beneficio consisterebbe in una quota da accreditare nel conto welfare individuale secondo le regole del piano welfare già in essere.

All’Agenzia delle Entrate la società si rivolge per verificare la non imponibilità dei benefici riconosciuti alla luce delle regole previste dall’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi che escludono alcuni benefit dalla formazione del reddito.

Ma, con la risposta all’interpello numero 57 del 1° marzo 2024, l’Amministrazione finanziaria pone il suo veto: anche questa tipologia di bonus mamme si calcola nel reddito soggetto a tassazione.

“Sulla base della circostanza che l’attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea ad individuare una “categoria di dipendenti” (...), si ritiene che le somme in oggetto debbano assumere rilevanza reddituale ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Tuir, in quanto, rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive”.

Si legge nel testo.

Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 57 del 2024
Bonus mamme - applicazione dell’articolo 51 del TUIR

Bonus mamme: l’importo per le lavoratrici madri non rientra nel welfare aziendale ma nel reddito imponibile

Perché i bonus mamme riconosciuti come credito di welfare aziendale devono essere considerati nel calcolo del reddito imponibile?

L’Agenzia delle Entrate lo chiarisce analizzando i contenuti dell’articolo 51 del TUIR che, prima di tutto, definisce il concetto di reddito di lavoro dipendente.

L’importo è costituito “da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

Ci sono, però, delle eccezioni: i benefit aziendali riconosciuti a lavoratrici e lavoratori sotto forma di servizi, prestazioni e rimborsi spesa con finalità di rilevanza sociale e non retributiva, citati nell’articolo 51 del TUIR, sono del tutto o in parte esclusi dalla formazione del reddito.

Ma l’esclusione di alcuni bonus riconosciuti dall’azienda è applicabile solo se sono indirizzati alla generalità dei dipendenti o a intere categorie: si parla, ad esempio, di tutte e tutti i dipendenti di un certo tipo, come coloro che fanno il turno di notte, o in generale di coloro che hanno una stessa qualifica o uno stesso livello. Questo discorso, però, non può essere fatto per le lavoratrici madri.

“Non si ritiene, invece, possibile individuare una categoria di dipendenti sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente.

Chiarisce l’Agenzia delle Entrate, evidenziando una logica a cui risponde l’agevolazione diversa rispetto all’esenzione dei fringe benefit regolata dal comma 3 dello stesso articolo 51 che nel 2024 ha una soglia più alta proprio per lavoratrici e lavoratori con figli o figlie.

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