Smart working nel contratto dei dipendenti pubblici: cosa prevede il Patto Draghi-sindacati

Stefano Paterna - Pubblica Amministrazione

Con il Patto per l'innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale firmato da Governo, Cgil, Cisl e Uil lo smart working verrà regolamentato nel contratto dei dipendenti pubblici 2019-2021. Ma la partita su diritti, privacy e livelli retributivi si apre solo ora ai tavoli dell'Aran.

Smart working nel contratto dei dipendenti pubblici: cosa prevede il Patto Draghi-sindacati

Lo smart working entra nel contratto dei dipendenti pubblici. Il lavoro agile verrà quindi contrattualizzato a partire dalla prossima tornata di rinnovi.

È questa una delle principali novità emerse dalla firma del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, avvenuta a Palazzo Chigi il 10 marzo, alla presenza del Presidente del Consiglio Mario Draghi, del Ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta e dei segretari generali della Cgil Maurizio Landini, della Cisl Luigi Sbarra e della Uil Pierpaolo Bombardieri.

La sottolineatura dell’importanza della nuova modalità di lavoro a distanza è ricavabile anche dall’intervento tenuto nell’occasione dall’inquilino di Palazzo Chigi:

“Se pensiamo allo sviluppo del lavoro in smart working, vediamo come è cambiato il nostro modo di lavorare; nuove professionalità richiedono investimenti e nuove regole. Questo è il percorso che stiamo iniziando oggi”.

Nell’ottica del Governo, del resto, lo smart working per i dipendenti pubblici sarà uno degli elementi necessari (insieme all’organizzazione e alla tecnologia) a ottenere una maggiore flessibilità organizzativa delle amministrazioni pubbliche e la crescita della loro rapidità di azione.

Ma vediamo a quali elementi farà da cornice il patto firmato tra Governo e sindacati.

Smart working dipendenti pubblici, nei contratti 2019-21 diritti, produttività e orientamento ai risultati

Dal punto di vista dei sindacati confederali, il risultato della regolamentazione dello smart working nei contratti pubblici è il soddisfacimento di una richiesta che era anche alla base dello sciopero del pubblico impiego del 9 dicembre dello scorso anno.

All’epoca a suscitare l’ostilità di Cgil, Cisl e Uil fu il decreto Dadone sul lavoro agile che regolamentava la modalità di prestazione a distanza sull’onda dell’emergenza. Un provvedimento che aveva fatto sentire scavalcate le organizzazioni sindacali nelle loro funzioni di contrattazione delle modalità di lavoro.

Ora con la sottoscrizione del Patto del 10 marzo i tre confederali hanno ottenuto la possibilità di sedersi al tavolo dell’Aran per discutere nell’ambito dei nuovi contratti di lavoro pubblico 2019-21 di:

  • diritto alla disconnessione,
  • fasce di contattabilità,
  • formazione specifica,
  • protezione dei dati personali,
  • permessi e assenze.

Ma di certo non sarà una “passeggiata di salute”, dato che dall’altro lato il Governo porrà questioni come la produttività e l’orientamento ai risultati.

Soprattutto quest’ultima voce è particolarmente “scivolosa” per i sindacati perché l’orientamento ai risultati legato alle modalità particolari di lavoro nel quale si svolge lo smart working, se non venissero puntualmente fissati i diritti alla disconnessione e i livelli retributivi, può facilmente configurarsi in una nuova forma di «cottimo».

Lo smart working è nato nell’emergenza, ma va pensato per la normalità

Anche per il Ministro Brunetta il lavoro da remoto praticato durante l’emergenza sanitaria ha costituito un importante fattore di accelerazione dello sviluppo delle competenze individuali dei dipendenti pubblici e della digitalizzazione.

Ora però si tratterebbe di gestirlo e programmarlo in modo efficace e sostenibile.

Ma cosa significa in termini concreti? È qui che si aprirà ora una partita tutta da vedere di cui saranno protagonisti certamente il Governo e i sindacati, ma anche gli stessi lavoratori pubblici.

A questi ultimi di certo il lavoro agile è piaciuto nei mesi della pandemia, ma il loro consenso dipenderà ora dalla normazione che ne uscirà dai tavoli di contrattazione.

In discussione, peraltro, ci sono anche altri punti dell’impostazione che il precedente responsabile della Funzione pubblica Fabiana Dadone aveva dato allo smart working pubblico.

Al nuovo Ministro, ad esempio, non piacciono i cosiddetti “hub di coworking” o meglio i Poli territoriali avanzati che avrebbero dovuto fungere da sedi concorsuali decentrate e spazi condivisi di lavoro tra le diverse amministrazioni.

A detta di Brunetta o si lavora da casa o dall’ufficio e negli hub ci intravede anche l’ombra di una speculazione edilizia o immobiliare.

Il quadro dello smart working, quindi, è ancora tutto da definire.

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