Il reato di diffamazione su Facebook: quando e perché si configura?

Redazione - Leggi e prassi

Reato di diffamazione su Facebook: per chi pubblica commenti offensivi, multe di almeno 516 euro. L'aggravante che si verifica sui social network e la posizione della giurisprudenza sulla materia, che è in continua evoluzione. Il 4 giugno la Corte di Giustizia europea è chiamata a esprimersi su un nuovo caso che fa emergere i limiti delle sentenze dei singoli Stati.

Il reato di diffamazione su Facebook: quando e perché si configura?

Reato di diffamazione: anche pubblicando su Facebook, o su altri social network, contenuti denigratori e lesivi della reputazione di una persona può verificarsi. L’interpretazione dell’articolo 595 del codice penale deve tenere il passo con i tempi e adeguarsi alle dinamiche del web. Ma sono tante le difficoltà che incontra.

La giurisprudenza si è espressa sul reato di diffamazione 2.0 e sulla difficoltà di individuare il responsabile, o i responsabili, in caso di contenuti diffamatori che viaggiano in rete.

Nello specifico, per i commenti pubblicati sui social-network non c’è dubbio sul fatto che si verifichi anche un’aggravante: la diffusione del messaggio lesivo mediante mezzi che possono raggiungere una quantità di persone potenzialmente rilevante.

Ma come bisogna intervenire per tutelare la persona offesa? Le decisioni delle giurisprudenze nazionali risultano troppo deboli difronte alla capacità della rete di andare oltre i confini dei singoli Stati. E proprio su questo punto è chiamata a esprimersi la corte di Giustizia Europea il 4 giugno partendo da un caso che riguarda una cittadina austriaca al centro di commenti lesivi e Facebook.

Una panoramica sul reato di diffamazione su Facebook, partendo dalle dinamiche che si verificano sui social e arrivando alle ultime sentenze in materia.

Il reato di diffamazione su Facebook: quando si configura?

Il reato di diffamazione, su Facebook o meno, tutela la reputazione, l’onore o il decoro della persona da offese di carattere illecito. La diffamazione, nello specifico, si configura in presenza di espressioni lesive della rispettabilità morale, umana o professionale del soggetto offeso a una pluralità di persone (più di due).

In particolare, il reato di diffamazione si configura quando si verificano le tre ipotesi che seguono:

  • contenuto offensivo e lesivo dell’immagine e del decoro della persona offesa;
  • comunicazione a più persone;
  • assenza della persona, ovvero impossibilità della stessa di percepire l’offesa.

Come ha ribadito più volte la Corte di Cassazione, il reato di diffamazione si compie anche nell’ambito dei moderni social-network e quindi anche su Facebook.

Ma c’è di più: considerando la quantità di persone che, anche solo potenzialmente, potrebbero visualizzare contenuti offensivi, al reato di diffamazione, su Facebook, si aggiunge l’aggravante della diffusione per stampa o altri mezzi di pubblicità (c. 3 art. 595 del codice penale).

La stessa aggravante che si riscontra anche per altre forme di condivisione di contenuti come chat, mail oppure sms.

In particolare, la sentenza numero 24431/2015 della Corte di Cassazione ha precisato come la pubblicazione di un commento offensivo sulla bacheca di Facebook rientri all’interno del reato di diffamazione aggravato, punito con una multa non inferiore ai 516 euro e con la reclusione dai 6 mesi ai 3 anni.

Reato di diffamazione: Facebook come un mezzo di pubblicità

L’aggravante del reato di diffamazione su Facebook si configura quando l’espressione lesiva si sia prodotta “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” (c. 3, art. 595 c.p.). La genericità della formulazione relativa al mezzo di pubblicità è stato interpretato in senso estensivo, e ai tempi dei social network include anche i post su Facebook.

In particolare, postare commenti offensivi e denigratori su Facebook fa scattare l’aggravante in questione in quanto la diffamazione trova:

il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa.” (Cass. 24431/2015)

I contenuti postati su Facebook quindi, al pari di comizi o e-mail inviate a numerosi destinatari, possono essere diffusi ad un ampio numero di utenti rendendo punibile il comportamento come reato di diffamazione aggravato.

La Corte di Cassazione è intervenuta recentemente in merito con la sentenza numero 4873/2017, sottolineando il fatto che Facebook si definisce un mezzo di pubblicità ma non può essere assimilato alla stampa.

Una differenza ribadita anche nella sentenza numero 12546 del 20 marzo 2019 in cui si legge che il social network è “potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone”. Ma il reato non può dirsi posto “in essere col mezzo della stampa, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico” .

La differenza non è solo una questione di meri cavilli burocratici, ma permette di escludere, nei casi di comportamenti offensivi su Facebook e altri social, l’ulteriore aggravante prevista per attribuzione di un fatto determinato con il mezzo della stampa (art. 13, L. 47/1948).

Sul tema la giurisprudenza è unanime: anche negli ultimi mesi, con la sentenza numero 40083 del 6 settembre 2018, ha ribadito che offendere una persona pubblicando frasi diffamatorie sulla bacheca Facebook è reato.

Ma come deve intervenire Facebook per tutelare chi viene offeso? Un nuovo caso riporta l’attenzione sul tema e il 4 giugno si attende la decisione della Corte di Giustizia europea, che deve esprimersi sulla diatriba che coinvolge una cittadina austriaca al centro di commenti lesivi e Facebook.

Il colosso della socialità 2.0 ha oscurato i contenuti che la interessano ai cittadini austriaci, una soluzione che potrebbe verificarsi insufficiente.

La Corte austriaca infatti si è rivolta a quella europea per verificare se è possible chiedere a Facebook di rendere inaccessibili i commenti agli utenti di tutto il resto del mondo. La questione riporta l’attenzione su un conflitto importante: le sentenze dei singoli stati rimangono nei confini nazionali, la rete non si può circoscrivere e la tutela degli utenti è una questione controversa e complessa.

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